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Sulla valutazione degli insegnanti e delle scuole domenica 26 aprile 2020

Posted by andy in Miglioramento.
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Concedetemi una breve dissertazione sul tema della valutazione degli insegnanti, tema estremamente indigesto sia a loro che ai sindacati.

In passato ho avuto accese discussioni sul tema con alcuni genitori, docenti ed allievi, che affermavano l’impossibilità oggettiva di valutare (nel senso di ‘dare un voto’ e fare una classifica) docenti e scuole.

Ognuno ha le proprie idee ed opinioni, ma provo a raccogliere alcune idee per dimostrare che in realtà una tale classifica può essere fatta, ed in realtà già viene fatta.

In primo luogo iniziamo a chiederci a chi una tale classifica, se fosse possibile, andrebbe indigesta: certamente ci sono i docenti che cercano di fare il minimo sindacale per portare a casa lo stipendio (non voglio offendere la categoria: sono pochi, ma esistono), e certamente i sindacati, che con la scusa della difesa dei diritti di tutti puntano sempre all’appiattimento, in modo da far avere poco a tutti, invece che incentivare le eccellenze e favorire la competizione verso il miglioramento.

Per inciso la scuola è il fondamento del futuro delle persone e degli stati: senza un’adeguata formazione ed incentivo alla crescita culturale e professionale, le future generazioni dovranno sempre più competere (al ribasso) sul mercato del lavoro non qualificato (e quindi mal retribuito), e quindi sempre più in competizione con l’automazione industriale, che sostituisce la manodopera con i robot.

Vale la pena osservare anche che portare un ragazzo alla laurea costa allo stato ed alla sua famiglia non meno di 250.000 ~ 300.000 Euro (almeno 18 anni di studio, senza contare stage e master e specializzazioni), includendo naturalmente il costo per le strutture, per i docenti, per il mantenimento, per i libri, etc. etc. etc.

Ogni volta che un giovane si trasferisce all’estero per cercare lavoro, perché in Italia il lavoro non si trova oppure è retribuito in modo non competitivo con le offerte all’estero, lo Stato si impoverisce di un quarto di milione di Euro (in altre parole, i cittadini hanno pagato altrettante tasse per finanziare le aziende estere che assumono i nostri giovani).

Immaginate di possedere un’azienda, e di dover assumere una persona per svolgere un lavoro qualificato; avete due alternative: o assumete una persona non qualificata e la formate a spese vostre (si legga: spendete centinaia di migliaia di Euro per fargli fare tutti i corsi necessari ed aspettate anni perché il neoassunto sia preparato), oppure gli offrite qualche spicciolo più di quanto gli avrebbero offerto in Italia (1.000 Euro al mese bastano) per portarvi in casa una persona che ha già un bagaglio culturale e di conoscenze da un quarto di milione di Euro.

Detto ciò, entriamo nel merito dell’oggetto di questo post.

Come ogni genitore, nel corso degli anni mi sono dovuto confrontare con il problema della selezione della scuola ove iscrivere i propri figli.

Non esistono classifiche formali che diano un voto alle scuole, che tra l’altro dovrebbe basarsi anche su un voto assegnato ai singoli docenti.

Guai a parlare di classifiche e di meritocrazia.

Tuttavia, all’interno di ogni scuola si sa quali siano i docenti migliori e quelli incompetenti o che ‘tirano a campare’ in attesa della pensione.

Altrettanto vale per la selezione delle scuole: mi è capitato di ascoltare discorsi di altri genitori, in cui la discriminante era, ad esempio, la quantità di compiti assegnati e da svolgere a casa: c’era chi cercava una scuola che spremessi i figli e li preparasse molto bene per il ciclo di studi successivo (o per il mondo del lavoro), ed altri a cui bastava che i figli non venissero oberati di compiti a casa …

Ora, ditemi voi se queste non sono classifiche tra docenti e tra scuole!

Guardando cosa è accaduto negli anni scorsi, abbiamo visto un tentativo di orientarsi verso una meritocrazia (anche se in versione ‘lite’) con il premio per il merito dei docenti.

Purtroppo la cosa è andata indigesta a molti, che invece che ingegnarsi per migliorare la propria offerta, hanno preferito invidiare chi lo ha fatto, e spingere per una riconversione per un ‘premio’ a pioggia per tutti.

Tra l’altro, per come era stata pensata la valutazione del merito, rattrista vedere come venissero equiparate attività finalizzate agli studenti ed altre finalizzate alla pura apparenza del docente, ove la produzione di tanta carta veniva valutata alla stregua di un grande sforzo didattico.

Il perché sia importante promuovere ed incentivare la meritocrazia l’ho già illustrato prima: ogni studente che resta in Italia è un capitale che abbiamo investito per costruire un futuro migliore per il Paese, invece che impoverirci per arricchire gli altri.

Veniamo ora a come sarebbe possibile realizzare un sistema di valutazione e competitività per il nostro sistema scolastico (naturalmente quanto segue è soltanto uno spunto di riflessione, e non una verità che cerco di imporre al lettore.

Quali sono le persone coinvolte in una valutazione? Sono tante, e certamente vi sono allievi e genitori; tuttavia anche i docenti hanno voce in capitolo, nei confronti delle classi e dei dirigenti, ed i dirigenti stessi nei confronti dei docenti e del livello dell’utenza.

Come valutare i docenti durante il corso di studi? Questo è più difficile, perché in itinere una valutazione dello studente potrebbe risultare condizionata dalle valutazioni ricevute.

Potrebbe essere un indicatore interessante quanto gli allievi (ovviamente mediamente) si appassionino e ritengano interessante una materia: il mero nozionismo porta soltanto a considerare noiosa la materia e a non vederne il valore

Le prove INVALSI, se correttamente effettuate, sarebbero un ottimo parametro di confronto; tuttavia esistono zone d’Italia in cui i genitori si aspettano che siano i docenti a dover aiutare gli allievi ad effettuare la prova, commettendo il grave errore di pensare che la prova serva per valutare gli allievi, mentre in realtà è finalizzata a valutare la preparazione che i docenti e la scuola forniscono ai propri figli.

Una valutazione a posteriori delle scuole può essere fatta valutando quanti studenti proseguono gli studi invece che fermarsi, e quanti proseguono con indirizzi attinenti alla formazione ricevuta, senza contare la percentuale di promossi / laureati al ciclo di studi successivo.

Certamente si possono pensare anche indicatori a medio termine, come una valutazione fatta dagli studenti dei propri docenti del ciclo scolastico precedente: a posteriori infatti uno studente non valuterà positivamente un docente che elargiva ottime valutazioni senza fornire invece un’ottima preparazione, e viceversa, una buona preparazione ricevuta verrà valutata molto positivamente indipendentemente dalle valutazioni ricevute, se questa consente di affrontare il nuovo ciclo di studi con adeguate competenze.

E comunque, qualsiasi indicatore che coinvolga la scuola deve anche essere pesato in relazione a parametri di contesto sociale, come il livello medio dell’utenza, i fondi disponibili, la continuità didattica dei docenti, e così via.

In conclusione, ciò che deve cambiare in Italia è l’approccio alla meritocrazia, che non deve essere considerata come uno strumento per penalizzare, ma per incentivare al miglioramento.

L’appiattimento porta a smorzare qualsiasi tendenza al miglioramento, e valorizza l’inedia e disincentiva alla crescita professionale di docenti e dirigenti.

Pur dovendo garantire (giustamente) una dignitosa retribuzione a ciascuno, è doveroso riconoscere a chi fa più del dovuto gli sforzi sostenuti (nell’ottica del valore trasferito agli allievi, e non all’apparenza formale della quantità di carta prodotta).

 

 

 

La sicurezza nello sviluppo SW: come incentivarla giovedì 31 marzo 2011

Posted by andy in Information Security, Miglioramento.
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Sempre più spesso leggo notizie in cui emergono incidenti (informatici, naturalmente!) derivanti da software sviluppato con pochi, o nulli, criteri di sicurezza.

Le lamentele vanno sempre in varie direzioni: i programmatori che pensano a tutto tranne che alla sicurezza, i project manager incapaci, le aziende che tagliano selvaggiamente su tutto, in primis sulla sicurezza …

Insomma, comanda il Time To Market ed il ribasso selvaggio …

Giusto o sbagliato che sia, il mercato attuale è così: il cliente non sa nulla di sicurezza, non è capace di valutare e confrontare le offerte, e peggio ancora non è capace di valutare i possibili danni derivanti da ‘incidenti informatici’.

E visto che ‘occhio non vede, cuore non duole’, si risparmia su tutto ciò che non si vede o non si conosce.

Ma il problema non è dei programmatori, o dei project manager.

Il problema è quello ribadito mille volte in mille articoli e blog diversi: pay peanuts, get monkeys.

Quello che manca è un ‘rating’ delle società che sviluppano software e, perché no? anche dei programmatori free lance.

Occorre introdurre nel mercato un meccanismo che dia visibilità ai clienti del fatto che lo sviluppo SW tenga conto o meno della sicurezza, e quanto.

Senza imbarcarsi in certificazioni di terza parte, che sono costose, ed in qualche misura si possono aggirare.

Varrebbe la pena predisporre una check-list dei principali aspetti della gestione della sicurezza nello sviluppo SW, di cui i clienti potrebbero richiedere la compilazione ai fornitori, che sarebbero così tenuti ad ufficializzare quali ‘controlli’ (nell’accezione inglese) implementano nel proprio processo di produzione SW.
I clienti potrebbero così confrontare i fornitori, e potrebbero paragonare i prezzi offerti in relazione alla sicurezza offerta.

Inoltre, in caso di incidente, il cliente potrebbe richiedere o meno la correzione dell’errore in relazione al fatto che il fornitore abbia o meno dichiarato i relativi controlli.

E a guardare più lontano, si potrebbe anche pensare di coinvolgere le assicurazioni, per la riduzione dei premi (ove applicabile).

Insomma, perché non puntare sullo scarico delle responsabilità? Se paghi per la sicurezza, hai diritto alla risoluzione dei problemi di sicurezza, altrimenti no.

Opportunità per la riduzione degli sprechi nella PA mercoledì 10 settembre 2008

Posted by andy in Miglioramento.
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Occupandomi di Qualità ed ottimizzazione di processo per un’azienda che opera come fornitrice di servizi ICT per la Pubblica Amministrazione, mi sono messo per curiosità a fare quattro conti sui risparmi che si potrebbero ottenere adottando delle semplici politiche di risparmio energetico presso un edificio della PA di Milano, con alcune migliaia di PC.

Utilizzando parametri pessimistici, è emerso un possibile risparmio per il solo utilizzo di PC che varia dai 500.000 ai 2.500.000 Euro all’anno.

Il valore dei 500.000 Euro corrisponde al caso migliore (quello in cui gli utenti già stanno molto attenti al risparmio energetico), mentre quello dei 2.500.000 corrisponde al caso in cui nessun utente presti attenzione ai propri consumi.

Ritengo più che probabile che sia più che realistico un possibile risparmio di 1.000.000 Euro / anno.

Ora, con tutti questi soldi si potrebbe aggiornare il parco macchine più obsoleto, conseguendo un ulteriore risparmio energetico dovuto all’hardware di nuova generazione.

E fin qui tutto bene.

Ho quindi sottoposto la questione al referente per l’Informatica per tali uffici, che ha apprezzato l’idea, ma che mi ha spiegato perché è sostanzialmente irrealizzabile.

La situazione è infatti la seguente: la bolletta della corrente viene pagata non dall’ente ospitato nel palazzo, ma dal Comune di Milano, che a sua volta gira i costi al Ministero, dal quale viene riconosciuto un rimborso dell’80%.

In pratica, qualunque soluzione venisse adottata per ridurre, anche drasticamente, i costi, non darebbe margini di manovra all’ente ospitato, in quanto l’energia non è una voce del proprio budget.
Qualsiasi proposta al Comune non solleverebbe particolare interesse, in quanto il delta di interesse sarebbe soltanto il 20% sull’effettivo risparmio, ed il Ministero che sostiene i costi non prevede incentivi al risparmio.

In pratica nessuno ha un concreto interesse a diminuire tali costi.

Purtroppo la bolletta della corrente consumata da questo palazzo fa il giro d’Italia, passando di ufficio in ufficio, senza che qualcuno possa trarre qualche beneficio da un eventuale risparmio (cosa che motiverebbe ad intervenire in qualche modo).

E da quanto sopra, alcune idee per incentivare il risparmio:
la PA potrebbe offrire come extra budget ad ogni ente il 50% del risparmio conseguito su ogni voce.
Tale budget potrebbe essere utilizzato in parte (il 5%?) come bonus per i promotori delle soluzioni di risparmio, ed il resto per ulteriori interventi orientati al risparmio energetico, alla sicurezza degli ambienti ed al miglioramento del servizio e delle infrastrutture in generale.

Si pone ovviamente una condizione di responsabilità: i bonus accordati devono essere corrisposti a distanza di qualche anno dal conseguimento del risparmio, in modo che possano essere revocati nel caso in cui le scelte effettuate non siano valide (o addirittura penalizzanti) a breve o lungo termine (è troppo facile tagliare selvaggiamente per incassare gli incentivi, per poi creare situazioni di peggior disservizio).

Tenendo conto della quantità di uffici presenti in Italia, ed estendendo l’approccio ad altri capitoli di spesa, ritengo che i numeri possano diventare molto interessanti.