Ubi major, minor cessat venerdì 3 febbraio 2012
Posted by andy in Internet e società.Tags: copyright, cyberlocker, diritti del netizen, diritti dell'uomo, diritti inalienabili, diritto d'autore, EFF, file hosting, globalizzazione, megaupload, USA
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Parto da un caso attuale (la chiusura di Megaupload) per evidenziare un potenziale rischio per i propri dati.
Il caso specifico è semplice: l’FBI è riuscita ad ottenere l’isolamento e prossimamente la distruzione di tutto il contenuto dei server di MegaUpload, una piattaforma di file sharing utilizzata pesantemente (ma non esclusivamente) per la condivisione di contenuti piratati.
In pratica, anche chi avrà pubblicato contenuti leciti si trova a non poterli più raggiungere, e soprattutto a sapere che i propri contenuti verranno distrutti insieme a quelli illeciti.
Ci si può chiedere perché invece che concentrarsi sulla distruzione dei soli contenuti illeciti l’FBI intenda distruggere tutto il contenuto dei server; certamente per un fatto di semplicità e riduzione dei costi (sarebbe molto oneroso controllare i contenuti uno per uno), e molto probabilmente anche per dare un esempio (colpirne uno per educarne cento …).
Distruggere l’intera piattaforma rende molto più faticoso ed oneroso rimettere in piedi un servizio, piuttosto che fare semplicemente un po’ di pulizia dei contenuti.
Resta da chiedersi se un’autorità (per di più estera: i server non sono sotto la giurisdizione degli Stati Uniti) possa permettersi di distruggere deliberatamente dei dati personali ed il lavoro di cittadini, americani e non.
A rigor di logica no.
Ma come dicevano i latini, ubi major, minor cessat.
Ci troviamo quindi di fronte ad una guerra che si sta combattendo tra le lobby dei contenuti e la Rete, con la sua tendenza alla totale apertura e trasparenza e, in modo più occulto,, tra la volontà dei governi di controllare l’informazione e la tendenza di Internet ad essere completamente libera.
Alcuni problemi che (ri)emergono sono poi questi:
- il rapporto tra la legislazione nazionale in rapporto alla globalizzazione, e la possibilità o meno di applicare le proprie norme nazionali anche all’estero;
- il valore dei diritti personali rispetto a quelli commerciali: il diritto di una persona che non commette reati viene dopo quello del diritto di un soggetto commerciale.
- la discutibilità di perseguire gli intermediari invece che coloro che commettono i reati;
In futuro questi problemi si acuiranno sempre più, sia perché le aziende tendono ad espandersi sempre più in paesi diversi grazie / a causa della globalizzazione, sia perché gli utenti saranno sempre più ubicati in parti lontane e diverse del pianeta.
Occorre sempre più la definizione di una costituzione planetaria, di una carta dei diritti del netizen, che sancisca quali sono i suoi diritti inalienabili (di fatto recependo anche la carta internazionale dei diritti dell’uomo), e di un organismo in grado di farne rispettare i principi a livello sovranazionale e planetario, indipendentemente dalle sovranità e legislazioni locali.
Cacciatori di P2P ed il Subdolo Condivisore lunedì 12 aprile 2010
Posted by andy in Come sarebbe il mondo ..., Internet e società.Tags: condivisione illecita, copyright, Digital Econmy Bill, disconnessione forzata, dottrina Sarkozy, P2P
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Sono anni che le major danno la caccia ai condivisori di materiale protetto da diritto d’autore.
Spiando la Rete, utilizzando anche pratiche poco ortodosse, stanno approdando in questi anni alla repressione normativa della condivisione (vedi la Dottrina Sarkozy, il recente Digital Econmy Bill britannico, etc.).
Spesso le major si appoggiano a società specializzate nell’identificazione dei condivisori.
Lo scopo di questi ‘cacciatori di condivisione illecita’ è quello di identificare i condivisori, minacciare rappresaglie legali e chiedere risarcimenti.
Da buon avvocato del diavolo, mi è balenata in mente un’idea un po’ pazza …
Tanto per fare un esempio, supponiamo che il ‘cacciatore’ stia cercando tutte le condivisioni illecite del proprio file PIPPO.mp3.
Supponiamo ora che un Subdolo Condivisore crei un proprio file con lo stesso nome, e lo protegga con una licenza che ne consente la libera condivisione ma non lo scaricamento e la condivisione da parte di ‘cacciatori’, a meno del pagamento di pesanti royalties (tanto pesanti!).
Se il cacciatore, durante la caccia, prova a scaricare la versione di PIPPO.mp3 prodotta dal Subdolo Condivisore, si trova a commettere un reato a sua volta, e a dover rispondere di fronte alla legge dello scaricamento (e condivisione, che è implicita nel P2P) fatti.
Adottare il FLOSS nella PA e nelle grandi aziende mercoledì 30 dicembre 2009
Posted by andy in Internet e società, Miglioramento.Tags: 231/2001, copyright, FLOSS, importazione, investimento, licenze software, open source, responsabilità d'azienda, risparmio economici, software libero, utilizzo illecito
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La lotta tra il software libero e quello proprietario si fonda ancora oggi su pregiudizi che sono controproducenti sia al primo che al secondo.
Le guerre di religione fanno perdere di vista l’obiettivo, rinunciando ai benefici dell’uno e dell’altro.
Senza la presunzione di voler essere esaustivo, considero in questo articolo un particolare aspetto relativo all’adozione o meno di software libero (FLOSS) nelle grandi realtà (P.A. e grandi aziende).
Non che le considerazioni non si applichino a realtà più piccole, ma i numeri sono meno importanti e quindi meno significativi ai fini del ragionamento che intendo presentare.
Le ragioni con cui si tende a sostenere l’acquisto di software proprietario sono molte, ma in generale non sono oggettivamente correlate ad una reale valutazione dell’effettiva necessità.
Non metto in dubbio che Office della MS sia più evoluto, etc. etc. etc., ma il 99% degli utenti non utilizza il 99% delle funzioni non disponibili in prodotti liberi.
In pratica chi è responsabile dei sistemi dovrebbe iniziare a ragionare ed a chiedersi quali utenti e quali servizi aziendali realmente necessitino di un software più evoluto (suite di office, di CAD, etc.) tali da richiedere un software specifico.
In questo modo risulterebbe possibile concentrare gli investimenti là dove servono, invece che sprecarli a pioggia su tutti gli utenti indistintamente.
Dal punto di vista commerciale questo approccio avrebbe un ulteriore vantaggio, in quanto si premierebbe la Qualità del software proprietario, che potrebbe essere venduto a cifre superiori (anche molto) per unità.
Tanto per fare un esempio concreto, in una grande azienda si può dare OpenOffice a tutte le segreterie, ma dare prodotti commerciali evoluti ai grafici, all’editoria, etc. predisponendo workstation ben carrozzate, invece che essere costretti a comperare dei super-computer anche alla segretaria che più che scrivere lettere e leggere le e-mail non fà, soltanto perché il sistema operativo vuole hardware dell’ultima generazione e disco e RAM da fantascienza soltanto per farci gli effetti (sceno)grafici.
In questo modo non ci si trova poi a dover piangere miseria quando un grafico si lamenta dell’esiguità della memoria e della CPU del proprio PC.
E giusto per fare contenti i top manager (vedi anche legge sul copyright e 231/2001) si avrebbero un mare di preoccupazioni in meno per la continua necessità di censire le licenze del software installato, per scoprire che, chissà come, ce n’è sempre qualcuna non autorizzata …
A compendio di quanto detto sopra, osservo come la gente tenda a dimenticare che il sistema operativo (Windows, Linux, OSX, e chi più ne ha, più ne metta …) è soltanto una ‘propaggine’ dell’hardware destinata a consentire l’interazione tra l’utente e l’hardware stesso.
Un grave errore che viene oggi fatto (un po’ per ignoranza e un po’ per l’indisponibilità di alcuni importanti prodotti su piattaforme libere) è di condizionare la scelta del sistema operativo al software che si vuole utilizzare, o peggio, pensare che S.O. e software siano due entità inscindibili.
Il mercato dell’usato mercoledì 14 ottobre 2009
Posted by andy in Internet e società.Tags: acquisto, condivisione, copyright, major, mercato dell'usato, P2P, vendita
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La lotta senza quartiere delle major verso la condivisione non controllata dei contenuti soggetti a copyright potrebbe (e a parer mio avrà) un effetto che è stato finora poco considerato, ma che potrebbe avere un effetto catastrofico sulle vendite.
L’aspetto in esame è quello del mercato dell’usato.
Recentemente legalizzato (in qualche modo) da una sentenza (credo americana), occorre che le major riconoscano ed accettino che può esistere e che è assolutamente legale un mercato dell’usato anche per i prodotti digitali.
Quello che valeva un tempo (e vale tutt’ora) per i dischi, i DVD ed i libri, è altresì valido per le licenze d’uso acquistate, per software, musica, video, testi digitali …
Se le major cercano di spremere troppo il mercato (cosa che di fatto stanno facendo)), si troveranno a dover affrontare un problema ben più grosso di quello di cercare di recuperare qualcosa dal circuito digitale: si scontreranno contro il fatto che potranno recuperare soldi soltanto dalla vendita del nuovo, mentre l’usato verrà liberamente (e legalmente) scambiato su Internet, per soldi o sottoforma di baratto.
Il limite di EBay, per cui può convenire comperare qualcosa il cui valore non giustifica neppure il costo di spedizione (e, perché no? anche il tempo di attesa della merce), è totalmente superato dallo scambio di licenze via Internet.
Il mercato dell’usato virtuale sta per aprire …
… a quando i saldi di fine stagione …?
Copyright e Diritti venerdì 10 luglio 2009
Posted by andy in Etica, Internet e società.Tags: brevetti, condivisione, copyright, diritto d'autore
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Il processo a The Pirate Bay ha (ri)portato alla ribalta la questione del conflitto tra condivisione di contenuti coperti da copyright ed applicazione delle leggi sul diritto d’autore.
Qualcuno in Rete ha affermato che il diritto d’autore (e più in generale si può estendere il concetto anche ai brevetti) è un Diritto, e che chi non si assoggetta alle leggi sul copyright infrange un diritto di qualcun altro.
Il reale punto del contendere però non è sul Diritto (la teoria), ma sulla legge (la pratica).
Il titanico conflitto che si è andato creando in questi anni tra l’industria e gli utenti non è sul copyright, ma sulle leggi che ne regolano l’applicazione.
Avrete sicuramente notato che tutte le pricipali contestazioni di questi anni non riguardano i brevetti su come produrre motori d’automobile, prodotti chimici o nuove confezioni per polli arrosto; i problemi ormai vertono principalmente sui brevetti sul software e sulla gestione del diritto d’autore.
Ritengo che le principali differenze tra i due contesti siano queste:
1) nel primo caso, l’idea serve a produrre un bene fisico, che è quello che porta il provento, mentre nel secondo caso ciò che viene venduta è, in sostanza, l’idea stessa;
2) il costo per la riproduzione del bene è irrisorio rispetto a quello per la sua realizzazione;
3) nel primo caso, i diritti sull’utilizzo del bene vengono di fatto ceduti e non vengono controllati (nessun produttore di automobili si permette di controllare se rispetto il codice della strada, né si permette di vietarmi di prestare la mia automobile ad un amico); nel secondo caso invece mi viene vietata la libera fruizione del bene (vedi anche DRM).
Il tutto non avrebbe creato problemi rilevanti se le parti coinvolte avessero avuto una ragionevole ripartizione tra costi e vantaggi.
Purtroppo Internet si è interposta tra le parti, riducendo i costi per i produttori, spostando costi sugli utenti finali, e non riproporzionando alla facilità di distribuzione il costo del prodotto finale e gli utili per i detentori dei diritti.
Il conflitto non è semplicemente tra i produttori e gli utenti finali, come si vorrebbe far credere, ma tra i produttori da una parte e gli utenti finali e i detentori dei diritti dall’altra.
I produttori vengono da un mercato basato sui monopòli di fatto, e si stanno scontrando contro un modello di business che li rende di fatto non più indispensabili.
Una parola va spesa sui brevetti sul software, che sono ormai fuori controllo: consentendo la brevettabilità delle idee anche più banali, ormai qualsiasi cosa venga prodotta, per quanto innovativa, sicuramente senza rendersene conto utilizza qualche idea già brevettata da qualcun altro.
La soluzione del problema sta pertanto non nella repressione che, come dimostra la storia, non può fermare il corso della stessa, ma soltanto rallentarlo, ma nell’aggiornare le leggi armonizzandole con la nuova realtà.
Ormai la globalizzazione impone di affrontare tutti i nuovi problemi in modo, appunto, globale, e di identificare i principi universali che possano essere riconosciuti come base del diritto su base internazionale.
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Vorrei dire che non ho nulla contro l’idea dei brevetti, ma in realtà un pensiero mi è venuto poco fa (ma lo esprimo in coda a questo post).
Il problema del giorno d’oggi è che i prodotti intimamente legati alla gestione digitale (e parlo quindi sostanzialmente di software, testi ed audio/video) hanno un costo di produzione che ormai tende a zero (ho detto ‘produzione’ e non ‘progettazione’).
L’esempio che hai fatto della Ferrari esula da questo concetto, in quanto la produzione di un veicolo clonato non può venire a costo zero (materie prime e manodopera hanno un costo reale, così come la catena di distribuzione, vendita ed assistenza).
Internet ha n-uplicato il mercato di pochi anni fa, ma i prezzi dei contenuti sono rimasti pressoché uguali, nonostante le incredibili economie di scala, la grande riduzione dei costi di produzione (stampa di testi e supporti), ed il trasferimento di parte dei costi sugli utenti (la banda per scaricare i contenuti, così come il supporto su cui lo salvo, e l’iniquo equo compenso, il packaging, il magazzino che non esiste più, etc.).
Sostanzialmente oggi tutti vorrebbero che comperassimo di più (pensa alla quantità di titoli disponibili), dimenticandosi che non possiamo comperare tutto ciò che ci vogliono vendere con gli stessi soldi che guadagnavamo anche pochi anni fa.
A peggiorare la situazione c’è il mancato riscontro agli autori, che in generale non riescono a rientrare neanche dei costi della quota di associazione alla SIAE di turno.
La qualità si paga: chi più spende meno spende, si diceva un tempo …
La borsetta griffata comperata in spiaggia dura una stagione (se va bene); l’originale ti dura una vita.
E che dire della Ferrari tarocca? Ti fideresti tu ad andare in giro a 300 all’ora con dei freni fatti al risparmio? È una tua scelta.
Il tutto comunque, insisto, va letto in un contesto più generale, in cui si sono completamente sbilanciati i rapporti tra gli intermediari ed i produttori ed i consumatori.
Un tempo la casa di produzione musicale sosteneva dei costi notevoli per il talent scouting, per la selezione e per la promozione dei propri autori.
Oggi tutti producono e si propongono a costo zero su Internet, ed il valore dell’intermediazione si è ridotto a girare in economia qualche spot da mettere su MTV.
Senza contare la crisi economica che ha svuotato le tasche dei consumatori, che prima di comperare un disco si preoccupano di mettere qualcosa in tavola.
Ed altrettanto gli autori, che a fine mese guardano quanto hanno ricevuto dalla SIAE, e si chiedono se non avrebbero incassato di più con un bel bottone ‘fai una donazione’ sul proprio sito.
Come la storia insegna, si fa la rivoluzione quando qualcuno ha la pancia vuota e qualcun altro ce l’ha troppo piena.
Chiudo riprendendo il pensiero che ho introdotto all’inizio di questo post.
Immaginiamo questa situazione:
– Continente A: il signor A si scotta togliendo una pentola dal fuoco, ed inventa le presine da cucina;
– Continente B: stessa situazione, con il signor B;
Un bel giorno a casa del signor B arriva qualcuno che pretende di pignorargli anche il pigiama perché ha utilizzato le presine senza aver pagato la licenza d’uso al signor A.
Ah, già … nel frattempo il signor A aveva brevettato le presine da cucina …
Questo esempio serve per evidenziare quanto sia importante stabilire criteri ragionevoli di brevettabilità (cosa che accadrà a breve negli USA).