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Tasse e Servizi mercoledì 14 luglio 2021

Posted by andy in pensieri, vita quotidiana.
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In tanti anni posso contare sulle dita di una mano le persone che erano orgogliose di pagare le tasse per il proprio Stato.

Il mugugno sul pagamento delle tasse supera di gran lunga quelli per il fatto che non si trova più parcheggio e che non ci sono più le mezze stagioni … 🙂

Eppure tutte queste persone che si lamentano danno per scontato di avere l’elettricità (ed Internet) in casa, l’acqua corrente, le strade asfaltate, l’illuminazione stradale notturna, etc. etc. etc.

Nessuno si chiede come sarebbe la propria vita senza acqua corrente e senza fognature: eppure qualcuno paga per costruirle e mantenerle in buon funzionamento.

Nessuno si chiede quanto ci metterebbe ad andare al lavoro se le strade fossero sterrate e con le buche e se non vi fossero i semafori.

Nessuno si chiede come potrebbe far valere i propri diritti se non venisse pagato il personale delle forze dell’Ordine e della Magistratura.

Nessuno si chiede come potrebbe mangiare frutta non di stagione se non vi fosse qualcuno che paga per avere porti ed aeroporti.

In tanti si lamentano di chi non paga le tasse, ma poi non si fanno fare la fattura dall’idraulico, vanno a godersi la pensione in paesi a tassazione agevolata, prendono la residenza nella seconda casa, e votano che promette condoni edilizi e fiscali.

Le ragioni e le cause sono tante, ed un giorno o l’altro mi lancerò in una possibile analisi.

Certamente si percepisce il segno di una scuola che fa troppo nozionismo e non insegna a ragionare e di un paese troppo individualista per poter riconoscere ed apprezzare il valore del bene comune.

L’Anisotropia della Mente Umana martedì 13 luglio 2021

Posted by andy in pensieri, vita quotidiana.
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In natura è piuttosto raro riscontrare comportamenti che abbiano comportamenti differenti a seconda di come li si consideri.

La mente umana è quindi una peculiare eccezione a questa uniformità, manifestando un’anisotropia assolutamente degna di nota.

Vi sarà certamente capitato di osservare come molte persone siano in grado di aprire le porte, ma non di chiuderle, o di accendere le luci entrando in una stanza, ma non di spegnerle uscendo.

Per non parlare di rubinetti aperti ma non chiusi, di bottiglie per cui andiamo al supermercato ma che non siamo in grado poi di portare ad un bidone della spazzatura (per di più vuote, e quindi più leggere!).

Nel novero delle anomalie non può certo mancare il fatto che gli italiani si lamentano di chi non paga le tasse, ma poi si guardano bene dal farsi fare la fattura da idraulici, elettricisti e dentisti per risparmiare qualche Euro di IVA …

L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma la cosa più interessante su cui indagare è la causa che porta a siffatti comportamenti.

Certamente una delle cause è il (troppo?) benessere in cui viviamo: il consumismo ci ha portato a pensare che tante, troppe cose non costino nulla o costino così poco da non meritare la nostra attenzione ed il nostro tempo.

Un altro aspetto, tuttavia derivante direttamente dal consumismo, è che ci siamo convinti che il tempo sia ben speso soltanto se si spendono dei soldi, ed e per questo che ci si considera insoddisfatti se si lavora o se ci si gode qualche minuto di tranquillità, perché ci siamo costruiti dei miti in stile vacanza ad Honolulu.

E pertanto siamo disposti a pagare di più la bolletta della corrente e quella dell’acqua perché ci siamo convinti che anche quel breve istante che ci costerebbe chiudere un rubinetto o una porta sia tolto alla ‘felicita’ per cui ci stiamo alacremente affaticando.

Probabilmente riuscire ad apprezzare lo spegnimento di una luce e la chiusura di un rubinetto aiuterebbe a dare un po’ più di valore al proprio tempo ed alla propria vita (forse inquinando anche un po’ meno …!).

Come mai l’eGovernment stenta a decollare in Italia? mercoledì 15 febbraio 2012

Posted by andy in Internet e società, vita quotidiana.
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Tra un post e l’altro, ho trovato un commento di una persona che si stupiva della fatica che l’eGovernment fa a prendere piede in Italia.

Giustamente citava un recente studio effettuato per conto della Commissione Europea che ha evidenziato che il 100% dei servizi di base della Pubblica Amministrazione italiana sono online.

E allora torniamo alla domanda: perché non si riesce a fare il salto di qualità?

Oltre a quanto riportato nell’articolo sopra citato, porto ad esempio una mia recente esperienza personale, e mi chiedo: non è forse perché per pagare le tasse scolastiche dei miei figli DEVO andare a scuola e ritirare i bollettini postali prestampati, e poi DEVO andare in posta, dove non funziona il bancomat, DEVO andare ad un bancomat ove DEVO prelevare dei contanti, per poi tornare all’ufficio postale dove DEVO pagare più di un Euro per un’operazione che a casa avrei potuto fare in pochi secondi con l’home banking (e con un costo reale di pochi centesimi) …?

EcoPass, Congestion Charge et similia giovedì 15 dicembre 2011

Posted by andy in vita quotidiana.
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Si dibatte molto sul fatto che sia opportuno, appropriato, utile ed efficace applicare una qualche forma di imposizione economica ai veicoli che accedono alle aree più centrali dei centri abitati.

Non voglio qui polemizzare sul fatto che negli ultimi decenni il nostro stato ha fatto di tutto per far produrre e quindi farci comperare una (o più) auto, ma ha completamente sorvolato sul creare gli spazi ove metterle.

I problemi sono sostanzialmente due: il più importante è l’inquinamento, ed il secondo è il traffico, con il conseguente intralcio creato ai mezzi pubblici, ed in sostanza il peggioramento della qualità di vita complessiva per i cittadini.

Le azioni possono essere sostanzialmente di due tipi: penalizzazione ai veicoli inquinanti (EcoPass), o penalizzazione più in generale ai veicoli che impegnano il suolo pubblico in certe aree (Congestion Charge).

Entrambe le imposizioni hanno pro e contro, e possono essere disegnate bene o male; cerco qui di analizzare quali siano i pro ed i contro per ciascuna delle due.

EcoPass (o Pollution Charge)

Lo scopo è quello di penalizzare chi inquina di più.

In passato abbiamo visto applicare un pedaggio crescente in relazione alla classe di inquinamento del veicolo (Euro 0,1,2,3, …).

Se da una parte questo pedaggio può avere un senso (chi più inquina, più paga), d’altra parte si rivela essere discriminante verso le categorie meno abbienti, ovverosia verso quelle che non possono permettersi l’acquisto di un’auto più recente e quindi meno inquinante.

In aggiunta la categoria Euro non è proporzionale alle emissioni totali del veicolo, bensi alle emissioni percentuali.

Questo significa che due veicoli, uno con motore di 900 cc ed uno con un motore di 6000 cc possono avere entrambi la medesima certificazione Euro 5, ma risulta evidente che quella con il motore più grosso per forza di cose consuma di più e di conseguenza inquina di più.

In sostanza l’EcoPass, per essere più equo dovrebbe essere come minimo linearmente crescente in relazione alla potenza del motore, e possibilmente dovrebbe crescere anche più che linearmente, per disincentivare l’utilizzo di veicoli troppo inquinanti (e non far passare il messaggio che chi ha più soldi può permettersi di inquinare).

Congestion Charge

L’obiettivo è principalmente quello di evitare l’intasamento dei centri abitati, così riducendo l’inquinamento e favorendo la circolazione dei mezzi pubblici.

D’altra parte occorre tenere conto che una vera congestion charge penalizza anche i veicoli non inquinanti, come quelli elettrici e quelli a gas.

Il problema è che questo tipo di imposizione tende a penalizzare i più poveri a favore dei più ricchi, se l’importo è sostanzialmente indipendente dal tipo di veicolo.

Mentre 1 Euro al giorno (~220€/anno) per un operaio rappresenta una parte significativa di uno stipendio, un importo anche cinque volte superiore (~1100€/anno) può non essere particolarmente penalizzante per gli stipendi alti, soprattutto se il costo viene assorbito dall’azienda.

Una congestion charge equa dovrebbe quindi essere in qualche modo legata al reddito della persona e crescente in modo più che lineare.

L’Italia a ‘conduzione familiare’ giovedì 24 novembre 2011

Posted by andy in vita quotidiana.
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Lungi da me l’idea di occuparmi di politica in questo blog, ma negli ultimi mesi ho sentito tanti commenti sull’attuale situazione politico-economico dell’Italia che ritengo a dir poco assurdi (per la verità, la quasi totalità).

Vedo una classe politica e giornalistica vecchia, che tenta ancora di mantenere un proprio spazio e di giustificare la propria esistenza dietro a montagne di parole ed elucubrazioni di socio-economia mondiale, di poteri occulti, etc. etc. etc.

Pochi, o per la verità quasi nessuno, ha provato ad affrontare la questione in modo più semplice e realista, e con parole comprensibili ai cittadini.

Ho sentito parlare di ‘governo delle banche’, di poteri occulti, di attacchi alle economie, di fondi occulti che aggrediscono le economie nazionali attraverso attacchi speculativi …

La cosa invece è molto più semplice, e proverò qui a darne una mia interpretazione, utilizzando parallelismi tra l’Italia e la famiglia o una piccola azienda, tutte realtà la cui gestione è facilmente comprensibile ai più.

Proviamo ad immaginare l’Italia come una normale famiglia: cosa è accaduto negli ultimi decenni? È semplice: la famiglia ha iniziato a spendere più di quanto portava a casa con gli stipendi dei suoi componenti (i cittadini), ed ha quindi fatto ricorso alle banche per chiedere dei prestiti (BOT, etc.), impegnandosi a restituire il prestito con i relativi interessi.

Ma con questo la famiglia non ha utilizzato il denaro chiesto in prestito per rimettersi in sesto: ha invece continuato a sperperare (anche il denaro chiesto in prestito), per cui quanto è arrivato il momento di tornare in banca per iniziare a pagare le rate di interessi dovuti si è trovata a non avere il denaro necessario.

Allora cosa ha fatto la famiglia Italia? È andata da un’altra banca, ed ha chiesto un ulteriore prestito del denaro (altri titoli di stato) che ha utilizzato per far pagare gli interessi alla prima banca.

E così via, banca dopo banca.

Cosa è successo ora? La famiglia Italia ha fatto il giro di tutte le banche, ed è tornata dalla prima, per proseguire con questo gioco perverso del farsi prestare sempre nuovo denaro da impiegare parzialmente per rimborsare interesse, ed in buona parte per continuare a vivere sopra le proprie possibilità.

A questo punto la prima banca (quella che ci aveva prestato i soldi per prima) invece che vederci tornare con il denaro da restituire, ci vede comparire per fare ulteriori debiti, ed a questo punto si insospettisce: ‘cos’hai fatto con il mio denaro‘ – si chiede – ‘che invece che restituirmelo sei qui a chiedermene ancora?‘.

Una telefonata di qua, una telefonata di la, e la banca scopre che non solo non hai più soldi, ma che di sei impegnato anche con le altre banche.

A quel punto la banca cosa fa? Inizia ad ipotecarti tutto quello che può, per garantirsi il prestito (in pratica,stipendi, pensioni, benefit, …)

La prossima fase, se non risolviamo il problema, è il pignoramento.

Proviamo ora a vedere l’Italia come una comune azienda (meglio se una PMI: sono più vicine a noi e meno soggette a ‘logiche di business’  … poco legate al mercato reale, per così dire …).

Quando una persona vuole avviare un’attività imprenditoriale, e non ha sufficienti fondi propri o dalla propria famiglia, cosa fa?

È semplice: va in banca per chiede un finanziamento.

D’altra parte la banca non apre i cordoni della borsa se il richiedente non presenta un business plan convincente che dimostri come il finanziamento possa fruttare a sufficienza per restituire l’importo prestato, per pagare i relativi interessi accumulati, e per lasciare anche un certo margine che assicuri la vita e la crescita dell’azienda (OK, lo so: in Italia le banche ‘prestano’ soldi soltanto a chi fornisce equivalenti garanzie personali, cosa che è un assurdo, ma se la nostra economia va a rotoli, un motivo ci sarà pure, no?).

A questo punto cosa ha fatto l’azienda Italia? Si è spesa i denari ottenuti in iniziative non fruttifere (anzi, a perdere), e quando è stato il momento di restituire il denaro (vedi sopra) è tornata in banca per chiedere un nuovo prestito con cui iniziare a pagare almeno gli interessi sul finanziamento precedente.

Iterate il giochino un po’ di volte e la banca arriva al punto di dire: non ti presto più denaro se non mi dimostri che sei in grado di restituirmi tutti i prestiti precedenti e tutti gli interessi accumulati.

Se l’azienda ha esaurito gli argomenti convincenti in teoria resta soltanto il fallimento, ma come extrema ratio il giudice che dovrebbe dichiarare il fallimento dell’azienda effettua un ultimo tentativo, mettendo l’azienda in quella che si chiama ‘amministrazione controllata’.

Di fatto, il giudice sostituisce le persone amministratrici con una (o più) di propria fiducia, a cui assegna il compito di risanare l’azienda, pagando i debiti e riportandola in attivo.

Ebbene, ora l’Italia si trova in questo stato di amministrazione controllata, o meglio, come è stato detto, di ‘commissariamento’.

Il giudice si chiama Europa, ed i nuovi amministratori / controllori si chiamano Germania, Francia, Stati Uniti, etc. – di fatto, le principali banche che ci hanno prestato i soldi.

È quindi inutile che reclamiamo la nostra sovranità: abbiamo rinunciato alla nostra libertà amministrativa nel momento in cui abbiamo fatto più debiti di quelli che avremmo potuto  rifondere, passando di fatto il controllo amministrativo a coloro che ci hanno prestato i soldi.

Visto in un’ottica un po’ più cattiva, ma realistica e soprattutto chiarificatrice, se una persona va dagli strozzini a farsi prestare del denaro, non può pensare di dire poi ‘ho scherzato, non ti posso restituire il denaro’: lo strozzino prima cerca di proteggere il proprio investimento imponendo politiche tali da poter recuperare il denaro e gli interessi dovuti, e se poi il debitore allora non ce la fa, beh …. allora in questo caso si cerca di dare un esempio che sia di monito per tutti gli altri nella medesima situazione (o che ci si vogliono trovare).

Esistono poi due ulteriori aspetti nella gestione del debito: il creditore può rinunciare ad un po’ dei propri soldi, e cedere il proprio credito ad altri che sono convinti di essere meglio in grado di recuperare la somma prestata, oppure il debitore accetta di pagare ulteriori interessi per ‘comprare’ ulteriore tempo per poter restituire tutto il denaro.

La morale qual’è? quando ci si indebita, chi va a guadagnare è soltanto il creditore, e se il debito arriva a superare la capacità di guadagno per ripagare debito ed interessi ci si viene a trovare in una situazione di sudditanza economica (vedi anche carte di credito revolving, di fatto messe fuori legge).

Ulteriore opportunità per chi non riesce a ripagare i propri debiti è

Un’Italia con o senza futuro? martedì 24 agosto 2010

Posted by andy in Progetto politico, vita quotidiana.
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Leggendo qua e la, trovo sempre più spesso commenti sempre più pessimisti sulle condizioni dell’Italia, considerata ormai fuori controllo, tra debiti ed involuzione socio-economica.

Il 20 gennaio 1961 John Fitzgerald Kennedy disse: “Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese.

Gli americani hanno razionalizzato già 50 anni fa un concetto che gli italiani ancora non riescono a metabolizzare.

È l’Italia ad essere fuori controllo, o sono gli italiani ad esserlo?
Continuiamo a considerare lo Stato come un’entità a parte.

Finché gli italiani continueranno a delegare le proprie responsabilità, continueranno a lamentarsi di coloro a cui le delegano, ma in realtà è di sé stessi che devono lamentarsi.

In qualunque comunità, in famiglia, in barca, al lavoro, se qualcuno non fa il proprio dovere, prima o poi ne fanno tutti le spese.

La cosa disastrosa non è che la nostra classe politica pensa soltanto a sé stessa, ma che gli italiani continuano a delegare ciecamente senza affrontare la fatica di controllare e scegliere.
Finché sceglieremo il meno peggio, invece che il meglio, non potremo lamentarci se le cose continueranno a peggiorare.

I burroni si possono affrontare precipitandoci dentro o costruendoci sopra dei ponti.
Noi continuiamo a fare come Wilcoyote: camminiamo sul burrone, ma non guardiamo di sotto, sperando così di non precipitare …

Fior di aziende stanno superando la crisi grazie ai dirigenti ed ai lavoratori che si sono auto-ridotti lo stipendio per mantenere in vita l’azienda e conservare il posto per tutti.
Noi siamo ancora fermi ai tempi in cui qualcuno ha proposto di dimezzare l’orario di lavoro (a parità di stipendio) per raddoppiare i posti di lavoro e risolvere il problema della disoccupazione.
L’incosciente ha dimenticato tuttavia di indicare chi avrebbe mai comperato i nostri prodotti ad un prezzo doppio rispetto a quello di mercato …

L’Italia ce la può ancora fare, ma tocca agli italiani decidere di farlo.
Sono pronti gli italiani ad accettare obiettivi e sacrifici non a durata di legislatura, ma a durata di almeno una generazione?

Un anno in meno di liceo o scuola secondaria superiore … giovedì 20 Maggio 2010

Posted by andy in pensieri, vita quotidiana.
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Ho letto sul corriere una proposta per «Accorciare di un anno la scuola superiore».

Non si tratta di una riforma che cade dall’alto, ma arriva dagli addetti ai lavori e più precisanente dal Magnifico Rettore dell’Università Bocconi. Scopo della proposta è anticipare di un anno l’incontro tra i giovani laureati e il mondo del lavoro.

Secondo costui gli anni giovanili sono i più fertili nell’apprendimento e i più elastici e flessibili nell’acquisizione del modus operandi aziendale, e rinviare il momento dell’approdo degli studenti alla realtà aziendale a causa di un ciclo di studi eccessivamente lungo e ripetitivo rappresenta secondo il Rettore un danno per il curriculum professionale individuale e per le stesse aziende.

Personalmente ho girato un po’ il mondo, più per lavoro che per diletto.
Si può dire tutto della scuola italiana, ma vi assicuro che noi italiani abbiamo un’elasticità che ci invidiano dovunque.
Le ragioni? Probabilmente molte; sicuramente il fattore culturale, ma personalmente credo che sia fondamentale il fatto che a scuola si studia ancora per il fine della conoscenza, e non per quello del vil danaro.
Quando studi per i soldi, studi soltanto le cose che sono più remunerative; le studi meglio, a scapito di quelle che ti danno un’apertura mentale.
In aggiunta, se l’obiettivo è fare soldi, prima finisci la scuola e prima vai a produrre.

Riporto poi una cosa che ho sentito da più parti in merito alla Bocconi: forte della propria fama, da un certo anno in poi (non mi ricordo quale) per aumentare il numero degli iscritti (e quindi delle entrate e dei contributi statali), hanno abbassato la qualità degli esami; nell’immediato ha funzionato, ma sul lungo termine ha penalizzato l’ateneo; conosco personalmente più persone che non vogliono laureati in Bocconi da quell’anno in poi.

Un altro riferimento interessante può essere quello della retromarcia fatta dalla Gelmini e dall’università sulla laurea breve.
La ragione, a parer mio, è semplice: se l’esperienza ha insegnato che per apprendere quanto necessario in varie discipline richiede corsi di studi di 4, 5, ed anche 6 anni, oltre ai successivi anni di dottorato, significa che non è possibile farlo in meno anni; la laurea breve è un escamotage all’italiana per aumentare il numero di laureati rispetto alle medie pietose che abbiamo nei confronti del resto dell’Europa.

Come si dice … anche per fare il mondo ci sono voluti 7 giorni …

Resta sempre ignorato, invece (tipico all’italiana) il problema fondamentale, che è quello di dare delle reali prospettive di lavoro a chi ha studiato.

Ed aggiungo una cosa che per me è fondamentale: nell’economia globale, l’Italia non ha speranze nei lavori ‘di quantità’: il costo della mano d’opera da noi è improponibile, e non abbiamo produzioni in quantitativi su scala mondiale (agricoltura, materie prime, catene di montaggio …).
L’Italia è piccola, ma ha due grandi cose: il turismo e la testa degli italiani.

Invece che fare concorrenza ai cinesi nella produzione delle scarpe, dovremmo puntare all’eccellenza, ad inventare e realizzare le tecnologie del domani, quelle che poi tutto il mondo verrà da noi a comperare.
E le scarpe le compereremo dai cinesi.

Ma per fare questo occorre elevare il percorso degli studi e la professionalità delle persone, invece che abbreviare il percorso facendo credere a tutti di essere dei luminari perché hanno potuto appendere un pezzo di carta alla parete …

L’errore dietro alle “quote rosa” sabato 23 gennaio 2010

Posted by andy in Miglioramento, pensieri, vita quotidiana.
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Tempo fa sono capitato su una notizia (qui su La Repubblica) che mi ha confermato un’idea che ho già da parecchio tempo.

Le cosiddette ‘quote rosa’ (le pari opportunità garantite alle donne riservando un numero definito a priori di posti in una particolare istituzione) sono uno sbaglio ed un’offesa al gentil sesso.

Pur non avendo difficoltà ad apprezzare lo spirito soggiacente all’idea, che cerca di ristabilire un equilibrio in un mondo controllato, per varie ragioni, dal sesso maschile, continuo ad avere delle notevoli perplessità sul modo.

Ma veniamo alla notizia: in Svezia, per equità, sono garantiti alle donne il 50% dei posti disponibili alle donne, ma (e qui sta la vera notizia) l’altro 50% è invece garantito agli uomini.

Ebbene, le donne hanno scoperto che vi sono delle professioni in cui il proprio sesso prevale, per numero e competenza, rispetto a quello maschile, e si sono trovate penalizzate, dovendo lasciare il 50% dei posti disponibili ad uomini anche meno qualificati di loro.

In sostanza, si è scoperto che una legge fatta nell’interesse delle donne in realtà in particolari contesti può divenire per loro penalizzante.

Ma qual’è il vero problema alla base di tutto questo? A parere mio si tratta di una confusione di termini.

Da troppi anni la gente fa una sostanziale confusione tra uguaglianza e parità tra i sessi.

Mentre è doveroso dover riconosce la parità di diritti tra i sessi, è altrettanto importante capire che questi non sonno uguali, e non lo possono essere neppure se lo vuole la legge.

Uomini e donne sono sostanzialmente diversi nella propria natura, sia fisicamente che psicologicamente ed attitudinalmente (ovviamente parlando in senso generale e non assoluto).

È inconfutabile che vi sono discipline, arti e mestieri in cui eccellono principalmente uomini, ed altri in cui eccellono le donne.

Questo fatto non significa che un sesso sia migliore dell’altro: significa soltanto che la Natura ci ha diversificati, rendendoci complementari.

Dal punto di vista normativo, si conferma che garantire un posto per ‘diritto divino‘ (la legge), invece che per merito porta a penalizzare i più meritevoli.

Dal punto di vista pratico, le leggi sulle quote rosa sono, a parer mio, una soluzione temporanea ormai superata al problema; forse iniziano ad essere maturi i tempi e la consapevolezza per rivedere le norme, sostituendo le quote rosa con regole e criteri più onesti per premiare il merito, criteri che devono essere realmente imparziali rispetto al sesso.

relazione tra consumismo e tempo lunedì 18 Maggio 2009

Posted by andy in Etica, pensieri, vita quotidiana.
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Sono reduce da un recente viaggio negli Stati Uniti …

Era da tempo che non passavo da quelle parti, e forse per il fatto che lì non è cambiato nulla, mentre in Europa si va consolidando sempre più una cultura del riutilizzo e del riciclo dei rifiuti, mi sono trovato a chiedermi il perché del consumismo.

Il consumismo è, almeno in parte, una conseguenza diretta dell’incredibile disponibilità di beni, e quindi, in fin dei conti, del benessere.

In qualche modo è anche conseguenza del capitalismo, e del modo in cui le aziende tendono a promuovere le proprie vendite rendendo anticompetitivo il riparare i beni piuttosto che eliminarli e sostituirli con altri nuovi.

Qual’è il reale beneficio del consumismo, quell’aspetto che ci fa accettare montagne di rifiuti, e di spendere denaro per ricomprare beni che già possediamo?

Non intendo parlare della semplice comodità di non doversi preoccupare di conservare con cura i nostri beni, o di farli riparare quando necessario: questa è solo la superficie delle cose, un effetto.

In realtà, cosa comperiamo quando facciamo del consumismo? In effetti, comperiamo il nostro tempo.

Ma il nostro tempo vale veramente lo spreco che facciamo?

Riusciamo a dare al tempo che recuperiamo un valore ed un significato superiori a quello dell’oggetto eliminato?

È una risposta difficile da darsi, ma credo che in poche occasioni si possa essere realmente convinti di aver impiegato il nostro tempo in modo così proficuo o utile da giustificare lo spreco.

Paesi come Cuba, ove la disponibilità di risorse e beni è infinitesima rispetto alla nostra, ed ancor più rispetto a quella americana, hanno una scala di valori diversa.

I beni hanno un valore diverso in rapporto al valore del tempo, e così vengono trattati bene, riparati e trattati con cura, perché v’è ben scarsa possibilità di sostituirli, qualora divengano inservibili.

E così noi europei ci troviamo nel mezzo di una scala di valori, in una fase di ritorno verso il valore del tempo e delle cose, dopo che il boom economico che ci aveva insegnato a buttare e ricomprare tutto.

Tutto sommato, siamo nella posizione migliore: abbiamo esperito ambo le opportunità, e stiamo formulando la nostra scelta.

I paesi poveri non hanno ancora avuto modo di conoscere le opportunità del consumismo, mentre gli Stati Uniti non si sono ancora trovati costretti ad affrontare il problema.

A noi, forse, la responsabilità di trasmettere al mondo una cultura di valori più profondi, che porti anche con sé i germogli di un’economia più sana.

Alfabetizzazione informatica o schedatura infantile? venerdì 27 marzo 2009

Posted by andy in Internet e società, vita quotidiana.
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Apprendo oggi di una fuga di notizie pubblicata sul Guardian: in sintesi, i nuovi programmi privilegeranno così tanto l’alfabetizzazione informatica da sacrificargli ore e programmi delle altre materie tra cui, cosa non da poco, anche i programmi di storia.

Ed a proposito della libertà degli insegnanti di decidere cosa insegnare, e soprattutto cosa NON insegnare, ricordo che ‘Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla‘.

E così riescono ad abituare le loro scimmiette a rinunciare alla privacy fin dalla più tenera età, raccontando tutto di sé stessi su Internet, via posta, e peggio ancora via Twitter.

Se lo stato non può schedarli attivamente, farà in modo che siano essi stessi a schedarsi fin da piccoli.

La conoscenza rende l’uomo libero, ma occorre intendersi su cosa si intende per conoscenza: la conoscenza non è saper usare Twitter.
La conoscenza è quella cosa che ti consente di riconoscere il bene ed il male (e non di prendere per buono quello che ti racconta il primo giornalista prezzolato alla televisione), di farti un’opinione, di scegliere, anche facendo tesoro delle esperienze degli altri (la storia, appunto).