Del nuovo Principato del MareBlu martedì 20 settembre 2022
Posted by andy in Libertà dell'informazione, Politica.add a comment
Questa estate ho avuto nuovamente modo di dimorare per un po’ di tempo presso un ameno paesino della riviera ligure di ponente.
Pensavo che si trattasse di un normale comune della Liguria, ma ho dovuto ricredermi: si trattava del nascente principato del MareBlu!
Ovunque guardassi, ovunque mi voltassi, bandiere del MareBlu per ogni dove, esposte in cima ad ogni asta e pennone.
Essendo già stato ospite in passato di tale comune, avevo memoria di bandiere italiane esposte in tutti i luoghi più rilevanti del paese.
Quest’anno invece no: soltanto una bandiera di fronte al municipio (tra l’altro esposta in posizione subalterna a quella europea) e, per fortuna, quella ben issata nello stabilimento dei Bagni Italia.
A ben cercare, un altro paio di bandiere italiane le ho trovate, piccole, lacere e comunque sempre in posizione subalterna a quella del MareBlu.
La più grande bandiera che ho visto era una bandiera australiana, ben esposta in uno degli stabilimenti balneari.
La nostra bandiera non sventolava più neppure fuori dalle scuole, al comando della Polizia Locale ed alla stazione dei Carabinieri.
Persino la posizione d’onore tra le bandiere delle quattro repubbliche marinare era stata riservata alla bandiera del MareBlu.
Ho documentato fotograficamente il tutto ed ho chiesto spiegazioni al sindaco del paese, che mi ha risposto che il Comune è costretto ad esporre ed a far esporre le bandiere del MareBlu, pagandole anche di tasca propria ben 20€ cadauna.
Tuttavia non ha saputo spiegarmi come mai la nostra bandiera fuori dal Municipio fosse esposta in posizione sbagliata, e come mai fosse stata sostituita nella posizione d’onore tra le Repubbliche Marinare da una bandiera che rappresenta poco più che un test chimico.
Durante un colloquio telefonico da me richiesto, il sindaco si è impegnato a provvedere per l’anno prossimo.
A quanto pare, sino ad allora, il comune di Celle Ligure resterà evidentemente un comune de-italianizzato.
Ho provveduto anche a segnalare l’anomalia su un blog locale (I Mugugni di Celle) il cui moderatore ha provveduto a censurare il mio post con la documentazione fotografica (approvando invece tutte le segnalazioni di smarrimento sul territorio comunale di gatti, cani, telefoni e chiavi).
Ad un mio secondo post in cui relazionavo quanto emerso con il sindaco, qualcuno ha anche risposto chiedendo a quale bandiera mi riferissi …
Mi è dispiaciuto dover essere io a spiegare al sindaco quanto la nostra bandiera rappresenti rispetto a quella del MareBlu.
La nostra Bandiera è il simbolo che rappresenta la nostra Costituzione e tutti i diritti che i nostri nonni e bisnonni hanno conquistato per noi, pagandoli anche con la propria vita.
Purtroppo in troppi se la ricordano soltanto quando vince la nazionale di calcio, e persino le autorità e le Forze dell’Ordine di una municipalità sono disposte a sostituirla con un’insegna blu, che nel mondo rappresenta non noi, bensì poco più che un banale test chimico sulla qualità dell’acqua.
D’ora in poi i turisti che verranno in Italia non cercheranno più il ‘Made in Italy’, bensì il ‘Made in MareBlu’.
NOTA: ovviamente la documentazione fotografica e le email inviate al sindaco di Celle Ligure sono disponibili per qualsiasi verifica.
No-Vax, No-Mask, No-* e la Cultura dell’Ignoranza giovedì 15 luglio 2021
Posted by andy in COVID-19, pensieri, Politica, tecnologia.add a comment
Prima che sorgano fraintendimenti tra ciò che intendo significare e ciò che il lettore vorrà capire, è doverosa una precisazione.
Con ‘ignoranza’ (o ‘ignorante’ se mi riferisco ad una persona) non intendo offendere nessuno.
Utilizzo questo termine nella sua accezione più pura e non offensiva: il termine deve essere letto esattamente come ‘mancanza di conoscenza’ / ‘mancanza di informazione’.
Il fatto che una persona non sia informata su un argomento può dipendere da molte cause, esterne o interne.
Una persona può non avere cognizione di qualcosa in quanto non l’ha studiata, perché non ha sufficienti competenze per comprenderla, o semplicemente perché non gli è mai capitato di incontrare l’argomento per poterlo approfondire.
Esiste tuttavia un altro caso, e cioè quello in cui una persona sia venuta a conoscenza di un argomento, ma scientemente e deliberatamente si rifiuti di analizzarne il contenuto per verificarne le conclusioni, non accettandole per partito preso.
Veniamo ora al tema di questo post: con qualche breve esempio intendo dimostrare che la non accettazione di cose come i vaccini e l’utilizzo delle mascherine in periodo di pandemia derivano da una cultura di superficialità che abbiamo costruito negli ultimi decenni.
Il motivo? È semplice: una persona che prende per vere delle affermazioni senza verificarle è una persona che più facilmente voterà colui che diffonderà lo slogan migliore, avrà il poster più grande, o semplicemente prometterà cose che non potrà mantenere.
Una persona così è anche più facilmente condizionabile dal mercato, perché sarà più facile da convincere che è migliore il prodotto di un’azienda invece che di un’altra, anche se non è realmente il migliore.
La superficialità è energeticamente economica, perché consente di non spendere tempo e fatica a documentarsi, studiare e comprendere.
Per poterlo fare occorre naturalmente non accettare il metodo scientifico, che in sostanza è quello che fa delle ipotesi e descrive come riprodurne e verificarne gli effetti.
A meno di teorie migliori, quelle scientifiche non possono essere confutate mediante controesempi.
E vengo alla chiusa di questo mio post: a meno che i no-vax / no-mask / no-* vivano ancora nelle caverne, sono degli incoerenti, in quanto accettano ed utilizzano la scienza quando gli fa comodo, ma la confutano quando dimostra cose che non sono in linea con le idee che gli sono state propinate.
Sarei curioso di sapere quanti no-vax affidano quotidianamente la propria vita alla scienza, che è quella che ha portato alla realizzazione, per esempio, dell’ABS; ogni frenata in automobile è controllata da un chip, alimentato a corrente.
Chissà se i no-vax non mangiano gelati, e non utilizzano il frigorifero per conservare i cibi: eppure in Italia per avere temperature inferiori allo zero occorre portarsi in alta montagna … molto alta …
Oppure si accetta il secondo principio della termodinamica e le sue applicazioni.
Chissà quanti no-vax utilizzano il telefono cellulare per comunicare, nonostante il suo funzionamento si basi (anche) sulle leggi dell’elettromagnetismo: certo possono lamentarsi del ‘5G’, ma si lamentano se un messaggio o un’immagine non vengono trasferiti istantaneamente in qualunque luogo del globo terraqueo.
Chissà se i no-vax guardano la televisione (ancora elettromagnetismo), o prendono la nave o l’aereo per andare in vacanza (fluidodinamica), o utilizzano detersivi (chimica), o …
Chissà se hanno dei pannelli solari sul tetto, o delle lampadine a LED …
Chissà se i no-vax utilizzano il navigatore ed il GPS, che può funzionare soltanto padroneggiando la Teoria della Relatività …
Chissà se in casa hanno rubinetti con l’acqua corrente (li sfido a portare in casa propria tutta l’acqua che consumano ogni giorno senza padroneggiare elettrodinamica, fisica dei materiali, idraulica, etc.
Chissà come sarebbe la vita dei no-vax se non fossero stati vaccinati in gioventù contro Poliomielite, Epatite ed altre otto malattie potenzialmente fatali, …
E comunque i complottisti no-vax possono approfittare proprio del metodo scientifico per dimostrare le proprie teorie: è sufficiente prendere una fiala (scelta a caso) di vaccino, ed analizzarne il contenuto con gli strumenti più sofisticati.
Ma non lo faranno mai, perché se non dovessero trovare nulla, dovrebbero ammettere di avere torto e non avrebbero più scuse per non vaccinarsi (ovviamente a meno di patologie personali pregresse).
Ovviamente non è possibile che ognuno studi tutto lo scibile umano: laddove non è possibile verificare direttamente, ci si fida di un delegato (qualcuno che ha studiato la materia specifica): in realtà, il fidarci di qualcuno è una cosa che facciamo abitualmente, delegando un condomino in assemblea condominiale, o votando un politico alle elezioni …
Internetcrazia mercoledì 29 luglio 2020
Posted by andy in Internet e società, Politica.Tags: Democrazia diretta, trasversalismo
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Scrivo questo post sul mio blog invece che su Wikipedia, ove avrebbe avuto la giusta collocazione, sia come memoria storica, sia come anello di congiunzione nell’evoluzione tra la Seconda Repubblica e la nascita del Movimento 5 Stelle: Wikipedia ha infatti ritenuto questo contenuto non sufficientemente enciclopedico per essere eligibile per la pubblicazione.
Internetcrazia (IC) è stato un movimento politico fondato nel 2005 a Correggio (Reggio Emilia), e si pone come antesignano del Movimento 5 Stelle, nato soltanto a fine 2009.
Il partito è stato sciolto nel 2010, dopo la fondazione del Movimento 5 Stelle.
Il suo scopo era promuovere la democrazia diretta attraverso la E-democracy, sfruttando le potenzialità di Internet grazie alla sua capillarità, alla sua crescente diffusione ed alla mancanza di censura da parte della stampa.
Come riportava il sito: “Internetcrazia è il partito che usa internet come strumento con cui tutti possono prendere parte collegialmente alle decisioni!“.
Oggi ne rimane memoria soltanto negli archivi Internet.
Il partito si costituisce inizialmente come associazione a fini politici e senza scopo di lucro.
Storia
Origini
Il movimento (e poi partito) ha origine da cinque ragazzi che non si riconoscevano in altre formazioni politiche e nei meccanismi di rappresentanza esistenti.
Uno dei valori a cui i fondatori volevano ridare la dignità che gli era dovuta era la rappresentanza diretta del singolo nelle decisioni politiche dello Stato.
Fondazione
Il partito viene fondato nel 2005 da cinque giovani di Reggio Emilia: Paolo Trevisi, Stefano Bertolani, Andrea Menozzi, Fabio Parigi e Daniele Razzoli.
Valori fondanti
Internetcrazia fondava la propria mission su tre valori fondamentali:
- riportare la democrazia al suo spirito originale;
- promuovere e valorizzare la partecipazione di tutti attraverso Internet e le sue tecnologie, per favorire la democrazia diretta;
- promuovere la discussione e la collaborazione costruttiva tra tutti, ripudiando ogni forma di aggressione nella comunicazione verso gli altri soggetti politici.
L’obiettivo era quindi quello di ripristinare una rappresentatività diretta del cittadino, eliminando la ‘delega in bianco’ al politico eletto senza vincolo di mandato.
Ulteriore aspetto rilevante era quello di consentire al popolo di intervenire rapidamente nell’esprimere la propria opinione su argomenti in cui altrimenti, per la lentezza della burocrazia del sistema elettorale, il governo normalmente prende decisioni che possono essere in contrasto con la volontà degli elettori.
Funzionamento di Internetcrazia
Sfruttando Internet come canale per rendere più facilmente accessibili i programmi politici e più partecipativo il voto, Internetcrazia ipotizzava un sistema innovativo per la selezione dei programmi e dei parlamentari da eleggere.
L’idea era quella di dividere il programma politico in sette aree tematiche:
- Istruzione
- Sviluppo tecnologico
- Economia e finanza
- Politiche sociali
- Politica estera
- Sanità
- Sicurezza
L’idea era quindi quella di abbandonare l’idea di un Parlamento basato su partiti politici e di trasformarlo in un organismo suddiviso in aree di governo tecniche.
Pertanto i candidati per le elezioni non si proporranno più per un partito, ma per una specifica area.
Al momento del voto l’elettore avrebbe dovuto scegliere i propri sette rappresentanti, uno per settore. I cento più votati sarebbero andati alla camera (unica).
I più votati per ogni area sarebbero entrati nel governo ed il più votato tra tutti sarebbe diventato premier.
A differenza dal sistema attuale, le funzioni del Parlamento così ipotizzato sarebbero avrebbero dovuto elaborare politiche e proposte di legge dovendo sempre confrontarsi con il volere del popolo, espresso attraverso la piattaforma di voto.
Adesione al partito
Inizialmente per diventare ‘Internetcratici’ era sufficiente registrarsi sul sito creando un proprio account.
In una fase successiva si è passati al tesseramento.
Ideologia
Internetcrazia non si fondava su ideologie di alcun tipo: si concentrava invece sui meccanismi utili a ridare valore alla democrazia diretta, sfruttando Internet come canale che doveva offrire a tutti la parità di diritto di accedere all’informazione ed alla propria rappresentatività politica, favorendone la partecipazione.
Meccanismi di rappresentanza
Internetcrazia non era per l’abolizione dei meccanismi di rappresentanza: si proponeva invece di ridurre i livelli di stratificazione delle deleghe assegnate mediante il voto (amministrativo o politico).
La gerarchia della rappresentanza era pertanto ridotta a tre soli livelli:
- elettori (tutti i cittadini maggiorenni);
- delegati (cittadini che raccolgono deleghe di voto da altri cittadini);
- parlamentari (cittadini delegati a rappresentare ufficialmente nelle sedi di potere il popolo internetcratico).
Simboli

Il simbolo del partito era una mano stilizzata con l’indice puntato, a simboleggiare il cursore del mouse quando posizionato su un collegamento ipertestuale puntato sopra ad una figura stilizzata di uomo.
I due elementi erano inscritti all’interno di una circonferenza, all’esterno della quale era riportato il nome del partito.
Il colore sociale prescelto era l’arancione.
La piattaforma http://www.internetcrazia.com
Il sito ufficiale del partito era www.internetcrazia.com, oggi disponibile soltanto negli archivi di Internet.
Il sito era basato sul CMS Joomla!, ed oltre a contenere tutte le informazioni relative al partito, era anche il portale di discussione ufficiale.
Finanziamento / Merchandising
Temendo potenziali derive e degenerazioni derivanti dal finanziamento del partito, Internetcrazia affidava la raccolta delle risorse necessarie a contributi volontari, al tesseramento e a proventi derivanti da eventi, pubblicazioni ed altre iniziative.
Oltre a queste entrate erano anche contemplati contributi pubblici e non, e rendite derivanti dal proprio capitale.
Internetcrazia non voleva avere un merchandising ufficiale, per prevenire qualsiasi inquinamento derivante dalla circolazione di denaro, o comunque potesse sollevare qualsiasi sospetto sugli scopi del partito o nella sua gestione.
Il partito aveva quindi predisposto il materiale grafico e le istruzioni utili per autoprodurre o far produrre volantini, magliette, o qualunque altro oggetto utile alla promozione dell’immagine del partito.
Riferimenti:
- sito web di Internetcrazia (su Internet Archive – WayBack Machine)
- Statuto
- Regolamento Interno
- Il pensiero di Internetcrazia
- Funzionamento di Internetcrazia
- Rilascio del Codice Fiscale – Internetcrazia un partito NON virtuale!
- Rendiconto economico sintetico – 21 Novembre 2008
- Articolo di Ivan Fulco su La Stampa del 16 Novembre 2005
- Articolo di Paolo Granzotto su Il Giornale del 27 Settembre 2009
- Citazione su OSNews – 28 Aprile 2009
- Intervista ad Andrea Menozzi su Reggio Nel Web – 4 Settembre 2007
- Incontro a Parma del 22 Aprile 2006
- dg
Il Piano Pandemia Nazionale: praticamente inutile mercoledì 15 luglio 2020
Posted by andy in Miglioramento, Politica, qualità.Tags: business continuity, COVID-19, disaster recovery, pandemia, pianificazione, piano pandemico
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Del senno di poi son pieni i fossi, suolsi dire …
Tuttavia non siamo ancora nella fase del ‘poi’, ma sulla gestione della pandemia da Covid-19 qualche considerazione e qualche somma la possiamo già tirare.
Mi concentro sul piano di gestione della pandemia predisposto dallo Stato, ed in parte anche su quello della Regione Lombardia (2009/2010?).
Innanzitutto una considerazione: tutti i piani pandemia che ho reperito (sia nazionali che della Regione Lombardia), nelle loro varie edizioni, non riportano da nessuna parte alcune informazioni chiave, come l’ente emittente e la data di pubblicazione.
Il Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale almeno riporta in copertina il logo del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (ccm).
Ciò significa che nessuno è in grado di sapere se il documento che si trova a consultare in condizioni di emergenza sia quello aggiornato. Torneremo sulle implicazioni di questo aspetto più avanti.
Un altro aspetto critico di tutti i piani di gestione della pandemia che ho reperito è che sono stati emessi dal Ministero della Salute, o organismi omologhi a livello regionale, e che l’intera trattazione verte esclusivamente sugli aspetti medici della pandemia.
Tra i principali argomenti non trattati vi è quello relativo alla protezione e continuità operativa delle infrastrutture critiche identificate dallo Stato.
Il Governo si è trovato sostanzialmente a scoprire, a pandemia già conclamata, l’acqua calda, ovverosia che in caso di lock down la gente deve comunque mangiare, che deve essere garantita la continuità nella fornitura di acqua ed energia elettrica, nonché la distribuzione dei combustibili, oltre a molte altre cose.
Ciò implica che anche a fronte di una grave penuria di personale, dovuto a motivi sanitari o a quarantena, devono essere garantiti i trasporti, la rete di distribuzione dei generi di prima necessità, e la manutenzione ed il pronto intervento per mantenere in efficienza la rete elettrica, idrica, e così via.
I trasporti servono naturalmente a consegnare medicine e materiali per gli ospedali, nonché ai malati presso i propri domicili.
In caso di pandemia deve essere garantito anche il funzionamento della Giustizia, delle Forze dell’Ordine, delle carceri, per non parlare della centrale acquisti dello Stato e della rete di approvvigionamenti.
Già a fine 2010 la Regione Lombardia, a quei tempi governata da Roberto Formigoni, identificava la necessità di approvvigionarsi e di dotare il personale medico di mascherine ed altri presídi necessari per proteggere il personale medico e sanitario, ed il piano pandemico era disponibile già dal 2018.
Sempre in tale documento la Regione si era resa conto che i piani ASL e delle strutture sanitarie non erano aggiornati, a volte non presenti, e comunque poco operativi ai fini della gestione di un’emergenza.
In pratica abbiamo gestito la prevenzione di una pandemia con il tipico approccio italiano: paghiamo qualcuno perché produca tanta carta (tanto chi la va a leggere?) …
Un aspetto chiave della continuità operativa è quello di provare qualsiasi piano si progetti, per vedere se funziona (come per le esercitazioni antincendio, che qui in Italia facciamo alla stessa stregua del piano pandemia: … ah, c’è la prova di evacuazione? Bene, così andiamo a farci un caffè invece che lavorare …
Come per un piano di evacuazione ben collaudato può significare la differenza tra la vita e la morte delle persone, altrettanto vale per un piano pandemia.
Ad esempio, questo piano non è mai stato provato in uno scenario in cui venissero saturati tutti i posti di terapia intensiva.
Nessuno si è neppure posto il problema degli approvvigionamenti, e le tristi notizie su affidamenti diretti di milioni di Euro a faccendieri riportano alla mente che abbiamo tolto risorse a chi ne ha veramente necessità per sopravvivere.
E a proposito di scenari di valutazione, nei piani è previsto di dare la priorità nella vaccinazione ai medici ed al personale sanitario … tuttavia nessuno si è posto il problema che il vaccino potrebbe non esistere (come in questo caso, dove sarà disponibile probabilmente dopo un anno dall’inizio della pandemia). Un piccolo dettaglio, insomma …
Chiunque abbia avuto a che fare con una certificazione ISO9001 sa che non l’avrebbe mai passata producendo documenti senza ente emittente, data e validità.
Chiunque abbia avuto l’esigenza di garantire il funzionamento della propria attività sa che avrebbe dovuto chiudere senza alternative per gli approvvigionamenti e senza trovare un modo alternativo per far lavorare comunque il proprio personale.
Quanto sono costati i nostri piani pandemia ai contribuenti? Sicuramente tanto, anche soltanto tenendo conto dello stipendio delle persone coinvolte e della quantità di giornate che ci hanno dedicato (a livello governativo, regionale, ASL, ospedaliero, e così via …); se poi sono stati commissionati all’esterno, occorre anche aggiungere il ‘giusto margine’ dovuto a qualsiasi azienda commerciale (che ha come fine ultimo quello del lucro).
Ora naturalmente ci si muove in emergenza, come è normale in Italia, regalando soldi a pioggia, invece che investendoli dove serve di più (e i furbi e la malavita organizzata ringraziano).
Il piano nazionale, per come è scritto, è poi di scarsa utilità: è più un trattato sulle epidemie ed un riepilogo delle direttive dell’OMS; le parti più importanti sono sintetizzate in pochi elenchi di voci, che delegano (non è chiaro a chi) la predisposizione di piani specifici e programmi di formazione (evidentemente mai realizzati, visti i risultati).
Interessante il punto 7.7, ove è previsto di ‘Monitorare l’efficacia e l’efficienza delle misure intraprese’, per non parlare della ‘Standardizzazione delle procedure di rilevamento’, che come è noto a chi vedeva alla televisione alle 18 le conferenze stampa della Protezione Civile fornivano numeri meno attendibili delle estrazioni del Lotto.
Nonostante fosse prevista una campagna di informazione della popolazione, si è visto qualcosa soltanto sulle reti private, e per il resto si è fatto soltanto terrorismo.
Naturalmente è facile criticare (siamo in Italia, no?), ma guardando l’accaduto è anche possibile guardare avanti, chiedendosi cosa sarebbe opportuno fare per gestire meglio una situazione simile se dovesse ripresentarsi (e si ripresenterà di sicuro).
Mille cose avrebbero potuto essere fatte o fatte meglio, ma probabilmente poche di esse avrebbero potuto, con poco, fare moltissimo (ipotizzo che anche in questo caso valga il Principio di Pareto).
- Una buona campagna di informazione (tipo Pubblicità Progresso) di tipo costruttivo e non per fare terrorismo, per spiegare cosa sia realmente il Covid-19, e soprattutto quali siano le buone pratiche da adottare e mantenere nel tempo, sino alla completa immunità della popolazione;
- Acquisti: per le forniture di emergenza la centrale acquisti dello Stato dovrebbe avere una lista di fornitori certificati, ed accordi formalizzati per garantire tempi e quantità minime per forniture in situazioni di emergenza;
- Evitare di fare helicopter money, con bonus per ogni cosa (incluso il bonus vacanze, che tanta credibilità ha fatto perdere all’Italia), e finanziando invece a fondo perduto ogni intervento finalizzato a mantenere la produzione garantendo la sicurezza dei lavoratori.
- ovviamente le situazioni di rischio avrebbero comunque essere inibite, come assembramenti, eventi sportivi, concerti, discoteche, etc.
- sul problema generato nelle residenze per anziani, forse sarebbe stato sufficiente che la politica avesse consultato ed ascoltato qualche persona competente: nessuna persona di buon senso, avendo degli anziani in casa, si sarebbe reso disponibile ad ospitare persone infette in casa propria; utilizzare caserme dismesse ed ospedali militari ormai deserti sarebbe costato poco ed avrebbe prevenuto un disastro.
In questo modo si sarebbe ridotto il rischio di contagio, favorito il mantenimento e la ripresa della produzione, ed i soldi a fondo perduto sarebbero tornati nelle casse dello Stato sotto forma di IVA, imposte, accise sui carburanti, etc.
Il Governo e la scuola al tempo del Covid lunedì 11 Maggio 2020
Posted by andy in Politica, Pubblica Amministrazione.Tags: Coronavirus, COVID-19, didattica, mancanza di buon senso, scuola
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A volte viene da chiedersi se a Roma chi è incaricato di gestire l’istruzione italiana sia mai andato a scuola.
Se ne potrebbe parlare all’infinito, ma alcune proposte degli ultimi giorni fanno pensare …
Ad esempio, c’è chi ha proposto per la ripresa della scuola a Settembre di far entrare le classi scaglionandole una ogni quarto d’ora …
Comprendo benissimo che in questo periodo il Governo ha problemi colossali da risolvere, ma i ministri si avvalgono anche di schiere di consulenti specializzati che sono incaricati di occuparsi dei dettagli dei problemi, e che dovrebbero anche avere cognizione della materia di cui si deve occupare il ministero a cui sono assegnati …
È possibile che il ministro si sia circondato di incompetenti? È possibile che il ministro non abbia neppure uno straccio di senso critico per rimandare a casa persone che propongono cose assurde, invece che rimbalzarle assumendosi le responsabilità di ciò che propongono?
Ora, una scuola con 22 classi impiegherebbe circa 5 ore e mezza per far entrare tutti gli allievi, ed al termine dell’ingresso dell’ultima classe dovrebbe iniziare a far uscire gli allievi, per altre 5 ore e mezza.
In pratica, se il primo allievo entra alle 8, l’ultimo esce alle 19 …
Viene naturalmente chiedersi come sarebbe possibile organizzare le lezioni in questo modo, come potrebbero organizzarsi i genitori per portare a scuola i figli e per tornare a riprenderli ed infine cosa ne penserebbero docenti e sindacati …
Supponendo pure di avere due ingressi, si potrebbero ridurre i tempi a quasi tre ore: il problema non cambierebbe sostanzialmente ed i docenti si troverebbero a dover gestire delle lezioni ‘itineranti’ …
Ho usato soltanto somme, moltiplicazioni e divisioni: possibile che al Governo non sappiano fare neppure i conticini della massaia (roba da elementari)?
E non è finita: c’è anche chi propone di tenere gli esami di terza media durante le ultime settimane di scuola: un insegnante ad esempio di musica con tre corsi si trova ad avere circa 3 x 25 = 75 studenti che devono fare l’esame.
Supposto di dedicare (ottimisticamente) anche soltanto un quarto d’ora a studente, si riescono ad esaminare 4 allievi all’ora, per un totale di quasi 20 ore: in pratica tale docente si troverebbe ad avere tutto il proprio orario impegnato per seguire gli esami, senza poter essere in classe a tenere lezione.
Resta poi da chiedersi chi terrebbe le classi in tali ore …
Perché non posticipare gli esami a dopo il termine della didattica? I docenti sono comunque pagati per 12 mesi all’anno.
Non parliamo poi degli strumenti dedicati alla didattica a distanza, ove il Governo ha totalmente ignorato le proprie responsabilità, delegando ciecamente ogni scuola ad arrangiarsi con quello che trovava, con il prodotto che più o meno di grido, o che stava più o meno simpatico a questo o quel docente, senza considerare che tutti gli strumenti utilizzati (Zoom, GSuite, etc.) trasferiscono dati di minori negli Stati Uniti (extra UE) senza alcun accordo scritto sulla protezione dei dati e senza alcun coinvolgimento del Garante per la Privacy, che si è defilato anche questa volta, come per tutti gli strumenti adottati per lo ‘smart working‘ (o lavoro agile) della Pubblica Amministrazione.
Devo tuttavia osservare che vi sono anche proposte interessanti, come quella di organizzare la didattica in due sessioni, una mattutina ed una pomeridiana, sfalsate rispetto agli orari di punta, in modo da dimezzare la quantità di studenti presenti a scuola e ridurre la congestione dei mezzi negli orari di punta.
Quis custodiet ipsos custodes? mercoledì 8 ottobre 2014
Posted by andy in Politica.Tags: abuso di potere, irresponsabilità, mancanza di controllo, mancanza di responsabilità
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Una tra le tante notizie che si leggono ormai sui giornali mi ha dato lo spunto per rispolverare questa antica frase: ‘chi controlla il controllore?’
In origine (e sono passati quasi due millenni), l’accezione era: ‘chi ha il potere di controllare chi ha il potere?’.
Oggi, in Italia, il significato si è completamente ribaltato: chi è che ha il potere di fare in modo che chi ha il potere lo eserciti?
In sostanza, una buona parte dei nostri guai deriva dal fatto non tanto dagli abusi di potere, ma dal mancato controllo che ha lo scopo di impedire, o almeno limitare, tali abusi.
… forse manca una strategia per la formazione a livello nazionale … domenica 2 febbraio 2014
Posted by andy in Information Security, Internet e società, Politica.Tags: didattica, educazione civica, Etica, formazione, Programma Politico, scuola, strategia
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È di pochi giorni fa la notizia che per il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza “A scuola non serve insegnare il digitale”.
In sostanza, la sua visione del futuro digitale dei giovani è che debbano imparare a muoversi con sicurezza in Rete perché a scuola utilizzeranno il computer per studiare sui nuovi libri digitali.
Il fatto che la sicurezza in Rete sia un problema di tutti i cittadini non risolve il problema di come si potrà educare un’intera popolazione, composta di generazioni con culture informatiche differenti (spesso inesistenti).
Il ministro non fa i conti con il fatto che tra una decina d’anni i ragazzi che oggi stanno finendo le medie già si occuperanno di politica, e che tra una dozzina d’anni saranno già responsabili della sicurezza delle informazioni che gestiranno nell’ambito della Pubblica Amministrazione e di aziende che, tramite l’innovazione, dovranno trainare l’economia del Paese.
Il problema non è tanto l’introruzione di ore specifiche di insegnamento, ma quello dei contenuti da insegnare: l’idea di insegnare l’Etica in Rete all’interno delle ore di Educazione Civica non è sbagliata, ma non può prescindere dalle tecnologie utilizzate (la crittografia, tanto per indicarne una), e non può prescindere dal fornire adeguate competenze ai docenti.
E l’altro aspetto che sembra sfuggire è che, mentre la stampa ha semplicemente accelerato e democratizzato l’accesso all’informazione per tutta la popolazione, oggi è la popolazione che crea e pubblica informazione: si è in sostanza reso bidirezionale (o meglio, multidirezionale) il flusso delle informazioni.
Politici ricattabili, e persone che si faranno ‘sfilare’ da sotto il naso informazioni aziendali riservate non contribuiranno certamente ad una crescita politica ed economica del Paese.
La disinformazione per tentare ancora di nascondere i problemi reali domenica 1 dicembre 2013
Posted by andy in Miglioramento, Politica.Tags: Disinformazione, Italia, italiani, problemi reali
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Le televisioni e la stampa continuano a portarci in giro, cercando di distrarre l’attenzione pubblica dai problemi reali.
Per tanti anni ci hanno fatto immaginare un futuro con fiumi di latte e miele, grazie all’esibizione delle grazie di bellissime fanciulle ed a fiumi di denaro regalati mediante giochi a premi di ogni sorta.
L’Italia non cambierà fino a che gli italiani non accetteranno le responsabilità.
Oneri ed onori: stipendi più alti devono implicare responsabilità e rischi più grandi, e viceversa: alle persone che investono e rischiano di più devono essere riconosciuti stipendi più alti.
Altro aspetto su cui occorre puntare è il senso della misura: non è giustificabile il fatto che persone con meno responsabilità ricevano stipendi superiori a coloro che li coordinano.
Parlando poi di buon senso, non è giustificabile che esistano persone che ricoprono decine di incarichi apicali, e che quindi non abbiano materialmente il tempo per dedicare più di una decina di giornate all’anno ad ogni incarico, ricevendo tuttavia emolumenti superiori a chi vi dedica tutto il proprio anno lavorativo ed i propri straordinari.
Altro aspetto ormai inaccettabile è quello delle ‘buone uscite’ con cifre da capogiro, nonostante l’operato del dimissionario abbia peggiorato le condizioni dell’ente o dell’azienda: riconoscimenti e provvigioni non dovrebbero mai essere legati al venduto o al fatturato, ma all’utile procurato.
D’altra parte da troppo tempo gli italiani si sono abituati a vendere il proprio voto, in alcuni luoghi per 50 Euro, in altri per non pagare l’IMU, in altri per il condono o per l’indulto, in altri per il posto di lavoro garantito senza alcun controllo sul proprio operato.
150 anni fa eravamo un agglomerato di regni, ducati, primcipati e piccole repubbliche, di corporazioni e notai, e ad oggi non abbiamo ancora trovato un’identità nazionale per cui i cittadini siano riusciti a comprendere il valore del bene comune.
C’è di buono che oggi sono finiti i soldi, e l’Euro ci impedisce di stampare ulteriore carta moneta, facendo ulteriori debiti all’insaputa dei cittadini: è arrivato il tempo di far quadrare realmente i bilanci dello stato.
Si cerca ancora di distrarre l’attenzione pubblica dai problemi reali, ma ormai i cittadini non possono più ignorare il bilancio familiare a fine mese.
Un aspetto degno di nota che vedo è che nella crisi e nelle difficoltà tante persone si rimboccano le maniche e si sforzano di aiutare gli altri, senza aspettare che ‘lo Stato provveda’.