No-Vax, No-Mask, No-* e la Cultura dell’Ignoranza giovedì 15 luglio 2021
Posted by andy in COVID-19, pensieri, Politica, tecnologia.add a comment
Prima che sorgano fraintendimenti tra ciò che intendo significare e ciò che il lettore vorrà capire, è doverosa una precisazione.
Con ‘ignoranza’ (o ‘ignorante’ se mi riferisco ad una persona) non intendo offendere nessuno.
Utilizzo questo termine nella sua accezione più pura e non offensiva: il termine deve essere letto esattamente come ‘mancanza di conoscenza’ / ‘mancanza di informazione’.
Il fatto che una persona non sia informata su un argomento può dipendere da molte cause, esterne o interne.
Una persona può non avere cognizione di qualcosa in quanto non l’ha studiata, perché non ha sufficienti competenze per comprenderla, o semplicemente perché non gli è mai capitato di incontrare l’argomento per poterlo approfondire.
Esiste tuttavia un altro caso, e cioè quello in cui una persona sia venuta a conoscenza di un argomento, ma scientemente e deliberatamente si rifiuti di analizzarne il contenuto per verificarne le conclusioni, non accettandole per partito preso.
Veniamo ora al tema di questo post: con qualche breve esempio intendo dimostrare che la non accettazione di cose come i vaccini e l’utilizzo delle mascherine in periodo di pandemia derivano da una cultura di superficialità che abbiamo costruito negli ultimi decenni.
Il motivo? È semplice: una persona che prende per vere delle affermazioni senza verificarle è una persona che più facilmente voterà colui che diffonderà lo slogan migliore, avrà il poster più grande, o semplicemente prometterà cose che non potrà mantenere.
Una persona così è anche più facilmente condizionabile dal mercato, perché sarà più facile da convincere che è migliore il prodotto di un’azienda invece che di un’altra, anche se non è realmente il migliore.
La superficialità è energeticamente economica, perché consente di non spendere tempo e fatica a documentarsi, studiare e comprendere.
Per poterlo fare occorre naturalmente non accettare il metodo scientifico, che in sostanza è quello che fa delle ipotesi e descrive come riprodurne e verificarne gli effetti.
A meno di teorie migliori, quelle scientifiche non possono essere confutate mediante controesempi.
E vengo alla chiusa di questo mio post: a meno che i no-vax / no-mask / no-* vivano ancora nelle caverne, sono degli incoerenti, in quanto accettano ed utilizzano la scienza quando gli fa comodo, ma la confutano quando dimostra cose che non sono in linea con le idee che gli sono state propinate.
Sarei curioso di sapere quanti no-vax affidano quotidianamente la propria vita alla scienza, che è quella che ha portato alla realizzazione, per esempio, dell’ABS; ogni frenata in automobile è controllata da un chip, alimentato a corrente.
Chissà se i no-vax non mangiano gelati, e non utilizzano il frigorifero per conservare i cibi: eppure in Italia per avere temperature inferiori allo zero occorre portarsi in alta montagna … molto alta …
Oppure si accetta il secondo principio della termodinamica e le sue applicazioni.
Chissà quanti no-vax utilizzano il telefono cellulare per comunicare, nonostante il suo funzionamento si basi (anche) sulle leggi dell’elettromagnetismo: certo possono lamentarsi del ‘5G’, ma si lamentano se un messaggio o un’immagine non vengono trasferiti istantaneamente in qualunque luogo del globo terraqueo.
Chissà se i no-vax guardano la televisione (ancora elettromagnetismo), o prendono la nave o l’aereo per andare in vacanza (fluidodinamica), o utilizzano detersivi (chimica), o …
Chissà se hanno dei pannelli solari sul tetto, o delle lampadine a LED …
Chissà se i no-vax utilizzano il navigatore ed il GPS, che può funzionare soltanto padroneggiando la Teoria della Relatività …
Chissà se in casa hanno rubinetti con l’acqua corrente (li sfido a portare in casa propria tutta l’acqua che consumano ogni giorno senza padroneggiare elettrodinamica, fisica dei materiali, idraulica, etc.
Chissà come sarebbe la vita dei no-vax se non fossero stati vaccinati in gioventù contro Poliomielite, Epatite ed altre otto malattie potenzialmente fatali, …
E comunque i complottisti no-vax possono approfittare proprio del metodo scientifico per dimostrare le proprie teorie: è sufficiente prendere una fiala (scelta a caso) di vaccino, ed analizzarne il contenuto con gli strumenti più sofisticati.
Ma non lo faranno mai, perché se non dovessero trovare nulla, dovrebbero ammettere di avere torto e non avrebbero più scuse per non vaccinarsi (ovviamente a meno di patologie personali pregresse).
Ovviamente non è possibile che ognuno studi tutto lo scibile umano: laddove non è possibile verificare direttamente, ci si fida di un delegato (qualcuno che ha studiato la materia specifica): in realtà, il fidarci di qualcuno è una cosa che facciamo abitualmente, delegando un condomino in assemblea condominiale, o votando un politico alle elezioni …
Tasse e Servizi mercoledì 14 luglio 2021
Posted by andy in pensieri, vita quotidiana.add a comment
In tanti anni posso contare sulle dita di una mano le persone che erano orgogliose di pagare le tasse per il proprio Stato.
Il mugugno sul pagamento delle tasse supera di gran lunga quelli per il fatto che non si trova più parcheggio e che non ci sono più le mezze stagioni … 🙂
Eppure tutte queste persone che si lamentano danno per scontato di avere l’elettricità (ed Internet) in casa, l’acqua corrente, le strade asfaltate, l’illuminazione stradale notturna, etc. etc. etc.
Nessuno si chiede come sarebbe la propria vita senza acqua corrente e senza fognature: eppure qualcuno paga per costruirle e mantenerle in buon funzionamento.
Nessuno si chiede quanto ci metterebbe ad andare al lavoro se le strade fossero sterrate e con le buche e se non vi fossero i semafori.
Nessuno si chiede come potrebbe far valere i propri diritti se non venisse pagato il personale delle forze dell’Ordine e della Magistratura.
Nessuno si chiede come potrebbe mangiare frutta non di stagione se non vi fosse qualcuno che paga per avere porti ed aeroporti.
In tanti si lamentano di chi non paga le tasse, ma poi non si fanno fare la fattura dall’idraulico, vanno a godersi la pensione in paesi a tassazione agevolata, prendono la residenza nella seconda casa, e votano che promette condoni edilizi e fiscali.
Le ragioni e le cause sono tante, ed un giorno o l’altro mi lancerò in una possibile analisi.
Certamente si percepisce il segno di una scuola che fa troppo nozionismo e non insegna a ragionare e di un paese troppo individualista per poter riconoscere ed apprezzare il valore del bene comune.
L’Anisotropia della Mente Umana martedì 13 luglio 2021
Posted by andy in pensieri, vita quotidiana.add a comment
In natura è piuttosto raro riscontrare comportamenti che abbiano comportamenti differenti a seconda di come li si consideri.
La mente umana è quindi una peculiare eccezione a questa uniformità, manifestando un’anisotropia assolutamente degna di nota.
Vi sarà certamente capitato di osservare come molte persone siano in grado di aprire le porte, ma non di chiuderle, o di accendere le luci entrando in una stanza, ma non di spegnerle uscendo.
Per non parlare di rubinetti aperti ma non chiusi, di bottiglie per cui andiamo al supermercato ma che non siamo in grado poi di portare ad un bidone della spazzatura (per di più vuote, e quindi più leggere!).
Nel novero delle anomalie non può certo mancare il fatto che gli italiani si lamentano di chi non paga le tasse, ma poi si guardano bene dal farsi fare la fattura da idraulici, elettricisti e dentisti per risparmiare qualche Euro di IVA …
L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma la cosa più interessante su cui indagare è la causa che porta a siffatti comportamenti.
Certamente una delle cause è il (troppo?) benessere in cui viviamo: il consumismo ci ha portato a pensare che tante, troppe cose non costino nulla o costino così poco da non meritare la nostra attenzione ed il nostro tempo.
Un altro aspetto, tuttavia derivante direttamente dal consumismo, è che ci siamo convinti che il tempo sia ben speso soltanto se si spendono dei soldi, ed e per questo che ci si considera insoddisfatti se si lavora o se ci si gode qualche minuto di tranquillità, perché ci siamo costruiti dei miti in stile vacanza ad Honolulu.
E pertanto siamo disposti a pagare di più la bolletta della corrente e quella dell’acqua perché ci siamo convinti che anche quel breve istante che ci costerebbe chiudere un rubinetto o una porta sia tolto alla ‘felicita’ per cui ci stiamo alacremente affaticando.
Probabilmente riuscire ad apprezzare lo spegnimento di una luce e la chiusura di un rubinetto aiuterebbe a dare un po’ più di valore al proprio tempo ed alla propria vita (forse inquinando anche un po’ meno …!).
Quanto vale oggi l’Accademia della Crusca? venerdì 1 Maggio 2020
Posted by andy in pensieri, qualità.Tags: Accademia della Crusca, lingua italiana, significato, traduzione
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A cosa serve una lingua, un linguaggio? Di fatto, è una semplice convenzione per poter comunicare, inviare informazioni potendo presumere che verranno recepite e comprese con il significato che si intendeva trasmettere.
Ciò significa che i termini che vengono utilizzati devono avere un significato univoco e condiviso.
Questo può naturalmente non essere vero se le parti non hanno convenuto su un singolo linguaggio, ma uno trasmette utilizzando una lingua, e l’altro ‘riceve’ (ascolta) in un’altra.
Occupandomi di Informatica, sento spesso utilizzare termini quali scansionare, scannerizzare e scannare, per indicare l’azione di digitalizzare un documento.
Volendo andare a vedere l’etimologia del termine scandire, esso deriva dal Greco (schedos), e poi dal Latino scandĕre, con il significato di distinguere / separare i versi, da cui poi per derivazione in Italiano si utilizza il termine per scandire bene le parole, e così via.
Il salto tecnologico è stato fatto con i primi apparecchi di digitalizzazione, da cui poi sono derivati anche i telefax, poi abbreviato in fax: la trasmissione delle immagini avveniva infatti mediante la scansione, punto per punto, della superficie, in modo da assegnare ad ogni punto un valore bianco o nero, codificando e trasmettendo poi tale valore all’apparecchio ricevente, che in relazione al valore ricevuto stabiliva se non stampare nulla oppure stampare un punto nero, e passare quindi al punto successivo.
Il verbo ‘scandire’ si traduce in Inglese con ‘to scan’, e per estensione il dispositivo che effettua la scansione è stato denominato ‘scanner’.
Purtroppo la diffusione di tale tecnologia (sviluppata e commercialmente principalmente da paesi anglosassoni) ci ha portati a derivare da tale nome un nuovo verbo che, non esistendo (o meglio, essendo già esistente ma ignorando i più la sua esistenza), ha dato ampio spazio a coniare neologismi di ogni tipo quali, appunto, scansionare, scannerizzare e scannare.
A parte il fatto che il termine corretto dovrebbe essere scandire, o al più digitalizzare, il neologismo che più mi interessa è scannare.
Tale termine già esiste nella lingua italiana, ma ha un significato totalmente diverso: si tratta infatti dell’azione di uccidere un animale recidendo le arterie del collo e la trachea.
Ed è tempo ora di tornare al concetto di linguaggio ed alla necessità di evitare ambiguità.
Facciamo un esempio banale: in italiano sappiamo tutti che il ‘burro‘ è un derivato del latte; tuttavia in spagnolo la parola ‘burro’ ha il significato di ‘asino‘.
È evidente quanto sia importante concordare sul significato delle parole, onde evitare di spalmare quadrupedi su fette di pane, o di caricare qualche quintale di legna su un panetto di latticino.
Immaginatevi ora se la stessa parola avesse addirittura due significati (non accezioni) nella medesima lingua: sarebbe come dire che in Matematica il numero 2 può valere due unità, ma anche 123456, o in Fisica, che il grammo può rappresentare un peso ma anche una lunghezza.
Per fortuna c’è chi si occupa di impedire questo tipo di ambiguità.
Per la lingua italiana, il garante riconosciuto della purezza della lingua è l’Accademia della Crusca; tra i suoi principali obiettivi leggiamo: “acquisire e diffondere, nella società italiana e in particolare nella scuola, la conoscenza storica della nostra lingua e la coscienza critica della sua evoluzione attuale”.
Se l’Accademia non si premura di chiarire l’esistenza e la differenza tra i termini ‘scandire‘ e ‘scannare‘, chi lo deve fare?
Essere al passo con i tempi e mantenersi aggiornati non significa rinunciare alla propria missione per non dire al popolo che sta utilizzando il termine scorretto: in questo modo non si produce cultura ma ignoranza, e si fa perdere di credibilità ad un’Istituzione che ha quasi cinque secoli di storia.
Vorrei lanciarmi in qualche considerazione sull’utilizzo del termine ‘suggestione‘ adottato da molti giornalisti in questi ultimi anni nell’accezione di ‘suggerimento‘, grazie all’ignorante traduzione dall’inglese di ‘suggestion‘, ma questa è un’altra storia …
Cosa vede l’eremita durante il periodo del nCOVID-19 sabato 28 marzo 2020
Posted by andy in Etica, pensieri.Tags: Coronavirus, COVID-19, nCOVID-19
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Sui professionisti della gestione della sicurezza delle informazioni venerdì 18 febbraio 2011
Posted by andy in Miglioramento, pensieri.Tags: associazioni di categoria, cartello, costi ed investimenti, lobby, modifiche normative, privacy, sicurezza delle informazioni, valore della sicurezza
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Leggo sempre più spesso commenti di persone e professionisti nel settore della gestione della sicurezza delle informazioni che manifestano insoddisfazione per quanto non sia riconosciuta l’importanza del problema e dei professionisti in grado di trattarlo.
Ma qual’è, in sintesi, la situazione? Quali i problemi di fondo?
E cosa si può fare per migliorare?
Un momento di sintesi ogni tanto non fa male.
Contesto / situazione
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Direi che la discussione parte dal fatto che più o meno tutti quanti, e più o meno razionalmente, ci rendiamo conto che la sicurezza delle informazioni è sottovalutata, e così la professionalità di chi è in grado di gestirla.
Non ho informazioni dirette su quanto accade all’estero, ma dai commenti che circolano, mi pare che il problema sia più accentuato in Italia che all’estero.
Problema/i
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I problemi, di fatto, son sempre i soliti: veniamo messi in competizione con il nipote dell’amico, che è capace di installare un server ‘Windows’, e che sa usare Ubuntu.
Eppoi non si può andare dal cliente a dirgli che la sua infrastruttura va bene per scolare la pasta …
Altro problema è che gli investimenti nella sicurezza delle informazioni (certificazioni personali ed aziendali) non vengono riconosciuti come tali, e quindi sono soggetti a ribasso in sede di gara; al contrario, i costi / investimenti per la sicurezza sul lavoro non possono essere soggetti a ribasso.
Dal punto di vista normativo poi la situazione è che la Telecom di turno soggiace alla medesima normativa sulla protezione delle informazioni che si applica al tornitore con due operai nel garage sottocasa (OK, dovrà forse avere qualche nulla osta, o essere presente nell’ennesimo albo che certifica ex-lege che è bravo, a prescindere da quello che accade realmente).
E sempre rimanendo in tema normativo, le leggi vengono sempre pensate per lasciare ampio spazio all’arbitrio, in modo che non sia possibile stabilire requisiti minimi, confrontare i fornitori ed il loro modo di operare, ed anche in caso di pasticci seri, una decisione definitiva la si ha dopo una quindicina d’anni, quando ormai l’appalto è concluso ed i soldi sono stati portati a casa comunque, indipendentemente dalla quantità ed entità dei guai combinati.
Cause
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Penso che una delle cause di fondo del problema sia da imputare al fatto che da noi la sicurezza viene vista come un costo e non come un investimento.
Altro aspetto è che la sicurezza non si può vendere: non si può misurare in Kg, in scatole di software, in linee di codice.
In sostanza, i commerciali, che di norma sono bravi a vendere, ma non sanno cosa vendono, non sono in grado di applicare un tariffario (2 computer = 2 licenze, questo lo sanno fare, ma …)
Altro aspetto per me rilevante è che sicurezza è una seccatura: se il professionista di turno scopre qualche vulnerabilità (o più probabilmente qualche voragine) nel software o nelle infrastrutture che ho messo in piedi dal cliente, questo mette in imbarazzo me fornitore, ma anche il cliente rischia la figuraccia per avermi dato il lavoro.
In pratica alla fine è meglio nascondere la polvere sotto al tappeto, e la si chiude a tarallucci e vino.
Ed infine agli occhi del management la sicurezza esiste a priori, fino a prova contraria.
Il professionista lo pago quando ormai è troppo tardi ed è accaduto qualcosa per cui si è finiti sui giornali).
Di conseguenza la sicurezza ordinaria può essere tranquillamente gestita da chi sa amministrare un server (i.e creare utenti e fare un backup).
Ecco, qui colgo l’essenza del problema: noi italiani siamo reattivi e non proattivi; in sostanza, non guardiamo avanti.
Sulle certificazioni
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C’è chi le ritiene indispensabili, chi privilegia l’esperienza e le referenze, e chi ritiene le certificazioni soltanto un minimo sindacale.
La realtà probabilmente è un insieme delle tre visioni.
Da persone, e da professionisti, tendiamo a valorizzare al massimo la persona e le sue capacità: se uno è bravo e competente, lo è anche senza un pezzo di carta appeso al muro.
Ma d’altra parte proprio noi che dobbiamo basarci su criteri oggettivi per poter fare affermazioni sullo stato della sicurezza (o non sicurezza) delle informazioni, difficilmente possiamo pretendere che i clienti ritengano qualificate le persone che gli mandiamo, ‘perché lo diciamo noi’.
La certificazione non è garanzia della validità della persona, ma garantisce un livello minimo di competenze, così come la licenza elementare garantisce che una persona sappia leggere, scrivere e far di conto, ed il liceo classico che una persona conosca latino e greco.
Associazione / lobby / cartello
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Certamente il peso che abbiamo come singoli non è quello che potremmo avere come associazione.
Purtroppo il cartello ex-lege (leggi: l’ordine professionale che certifica per legge che siamo gli unici bravi a fare certe cose) ce lo possiamo scordare.
Si possono fare associazioni, e tante già ne esistono.
Come qualcuno ha osservato, le associazioni si riducono ad essere l’ennesima tassa da pagare, per avere un ulteriore bollino sul proprio biglietto da visita.
Il problema è che, da bravi italiani, ci aspettiamo che l’associazione faccia qualcosa per noi. Purtroppo invece la cosa deve essere vista da un altro punto di vista: cosa possiamo fare noi per l’associazione?
E in aggiunta: un’associazione si costituisce in quattro e quattr’otto: il problema non è costituirla, ma sapere il perché costituirla.
Cosa possiamo (o vogliamo) fare come associazione che non possiamo fare come singoli?
Cosa vogliamo? Sederci in modo autorevole ai tavoli di chi legifera? Stabilire i canoni per la gestione della sicurezza nelle gare e nell’esecuzione degli appalti?
O semplicemente vogliamo il nostro tariffario, come notai ed avvocati? (cosa assolutamente lecita, ma forse un po’ riduttiva della nostra professionalità).
Certamente deprime già in partenza il sapere che, anche arrivando a sedersi ai tavoli giusti, qualsiasi cosa rimane aleatoria, indefinita per anni, senza arrivare a decisioni concrete entro tempi utili, e che la politica è in grado di vanificare anche la migliore proposta tecnico-operativa.
E quindi, che fare?
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C’è molto da fare.
I tavoli giusti esistono, e si può pensare di poterci arrivare presentandosi con un cappello che non sia soltanto la propria referenza personale.
Di associazioni già ne esistono (leggi: CLUSIT), per occorre chiedersi se diversificare ulteriormente o dare maggior peso ad essa.
Divide et impera, dicevano i romani; l’ennesima associazione farebbe certamente un favore agli interlocutori, che si troverebbero a doversi interfacciare con tanti attori, e a non poter/voler dire a nessuno che non è quello con cui ci si può relazionare ufficialmente.
Se abbiamo voglia di rimboccarci le maniche, di proposte concrete da fare ce ne sono.
Un anno in meno di liceo o scuola secondaria superiore … giovedì 20 Maggio 2010
Posted by andy in pensieri, vita quotidiana.add a comment
Ho letto sul corriere una proposta per «Accorciare di un anno la scuola superiore».
Non si tratta di una riforma che cade dall’alto, ma arriva dagli addetti ai lavori e più precisanente dal Magnifico Rettore dell’Università Bocconi. Scopo della proposta è anticipare di un anno l’incontro tra i giovani laureati e il mondo del lavoro.
Secondo costui gli anni giovanili sono i più fertili nell’apprendimento e i più elastici e flessibili nell’acquisizione del modus operandi aziendale, e rinviare il momento dell’approdo degli studenti alla realtà aziendale a causa di un ciclo di studi eccessivamente lungo e ripetitivo rappresenta secondo il Rettore un danno per il curriculum professionale individuale e per le stesse aziende.
Personalmente ho girato un po’ il mondo, più per lavoro che per diletto.
Si può dire tutto della scuola italiana, ma vi assicuro che noi italiani abbiamo un’elasticità che ci invidiano dovunque.
Le ragioni? Probabilmente molte; sicuramente il fattore culturale, ma personalmente credo che sia fondamentale il fatto che a scuola si studia ancora per il fine della conoscenza, e non per quello del vil danaro.
Quando studi per i soldi, studi soltanto le cose che sono più remunerative; le studi meglio, a scapito di quelle che ti danno un’apertura mentale.
In aggiunta, se l’obiettivo è fare soldi, prima finisci la scuola e prima vai a produrre.
Riporto poi una cosa che ho sentito da più parti in merito alla Bocconi: forte della propria fama, da un certo anno in poi (non mi ricordo quale) per aumentare il numero degli iscritti (e quindi delle entrate e dei contributi statali), hanno abbassato la qualità degli esami; nell’immediato ha funzionato, ma sul lungo termine ha penalizzato l’ateneo; conosco personalmente più persone che non vogliono laureati in Bocconi da quell’anno in poi.
Un altro riferimento interessante può essere quello della retromarcia fatta dalla Gelmini e dall’università sulla laurea breve.
La ragione, a parer mio, è semplice: se l’esperienza ha insegnato che per apprendere quanto necessario in varie discipline richiede corsi di studi di 4, 5, ed anche 6 anni, oltre ai successivi anni di dottorato, significa che non è possibile farlo in meno anni; la laurea breve è un escamotage all’italiana per aumentare il numero di laureati rispetto alle medie pietose che abbiamo nei confronti del resto dell’Europa.
Come si dice … anche per fare il mondo ci sono voluti 7 giorni …
Resta sempre ignorato, invece (tipico all’italiana) il problema fondamentale, che è quello di dare delle reali prospettive di lavoro a chi ha studiato.
Ed aggiungo una cosa che per me è fondamentale: nell’economia globale, l’Italia non ha speranze nei lavori ‘di quantità’: il costo della mano d’opera da noi è improponibile, e non abbiamo produzioni in quantitativi su scala mondiale (agricoltura, materie prime, catene di montaggio …).
L’Italia è piccola, ma ha due grandi cose: il turismo e la testa degli italiani.
Invece che fare concorrenza ai cinesi nella produzione delle scarpe, dovremmo puntare all’eccellenza, ad inventare e realizzare le tecnologie del domani, quelle che poi tutto il mondo verrà da noi a comperare.
E le scarpe le compereremo dai cinesi.
Ma per fare questo occorre elevare il percorso degli studi e la professionalità delle persone, invece che abbreviare il percorso facendo credere a tutti di essere dei luminari perché hanno potuto appendere un pezzo di carta alla parete …
Può un computer possedere del denaro? lunedì 10 Maggio 2010
Posted by andy in Internet e società, pensieri, tecnologia.add a comment
6 maggio 2010, ore 2:47 P.M. ora locale: un banale errore umano (una lettera digitata al posto di un’altra) fa precipitare di 1.000 punti l’indice azionario di Wall Street.
Il problema ovviamente non è stato tanto quello del singolo errore, quanto quello della reazione a catena dovuta alle conseguenti elaborazioni automatiche e relative rapidissime sequenze di acquisti e vendite basate sulle proiezioni fatte dai sofisticatissimi algoritmi di previsione finanziaria.
E questo ha finalmente portato sulle prime pagine un problema: quanto si può delegare nella gestione finanziaria ad un computer (o meglio ai suoi algoritmi)?
Ma questo, se vogliamo, è un problema terra terra; un problema più sottile, invece, che già molti si pongono da almeno due o tre lustri, è il seguente: può un computer possedere del denaro?
Ma veniamo ora ad un esempio pratico, su cui iniziare a ragionare; lungi da me l’idea di dare una risposta definitiva, voglio dare invece a tutti uno spunto per ragionarci su un po’.
Ed ecco il semplice scenario:
- l’esempio prevede tre attori: un mero fornitore di tecnologia (ASP), un investitore, ed un intermediatore finanziario;
- l’intermediatore finanziario si trova all’interno di una stanza senza vetri (attenzione! Non è la scatola del gatto di Schrödinger! :-), con due feritoie per inserire ed estrarre soldi;
- il provider fornisce il servizio in cambio di un canone fisso mensile (senza percentuali sulle transazioni – per la corrente, la connettività ed i panini del bar);
- l’investitore inserisce soldi in una fessura della stanza, e da questa ritira il capitale con gli interessi, fissi, stabiliti inizialmente;
- l’investitore e il provider non possono sapere se nella stanza ci sia una persona o un computer;
- l’intermediatore finanziario, dentro la stanza, investe ed aumenta il capitale;
Supponiamo ora che l’intermediatore sia un professionista in grado di garantire l’interesse del 10% sulla somma che gli date da investire.
Supponiamo anche che questa persona sia in realtà così brava da essere capace di portare a casa più del 10%, diciamo il 15%, tanto per fare un numero.
Voi gli date 100 Sesterzi da investire, e questa persona, correttamente, ve ne restituisce 110.
Ma se questa persona ha fatto ciò che sa fare, in realtà ha incassato 115 Sesterzi, e quindi ha potuto trattenerne 5.
Che voi lo sappiate o meno, non conta: lui ha rispettato i patti; il 10% vi aveva promesso, ed il 10% vi ha fatto guadagnare.
Nessuno può mettere in dubbio che il 5% in eccesso sia di proprietà di questa persona.
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Ed ora viene il bello: ecco il quesito.
E se questa persona fosse in realtà un computer?
Può un computer possedere dei soldi?
Qualcuno potrebbe eccepire che un computer non può possedere denaro, perché non saprebbe cosa farsene.
Ma la questione proposta è diversa: se i diversi attori che interagiscono con un computer che investe denaro non hanno titolo per ‘mettere le mani’ sul denaro prodotto, si può ritenere che questo sia nelle disponibilità / proprietà del computer che lo ha realizzato?
In sintesi: data all’investitore la percentuale dovuta, e pagato il canone di funzionamento al provider (corrente, connettività, manutenzione, etc.), il delta di denaro rimanente di chi è?
Inoltre il computer può sapere cosa farsene: se è stato programmato per fare investimenti, continuerà ad investire il denaro che ‘ha in pancia’, producendo (ci si augura!) altro denaro.
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Qualcun altro potrebbe eccepire che non è possibile che l’intermediatore garantisca un interesse fisso, e che il provider o l’investitore dovrebbero ricevere anche il surplus di interessi; ma questo sarebbe vero se partecipassero anche al rischio: nel caso l’intermediatore non riuscisse a garantire l’interesse promesso, dovrebbe avere il diritto di non rispettare l’impegno preso garantendo un interesse fisso (oneri ed onori).
Ed in ogni caso questa considerazione esula dall’esempio proposto.
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Mi riferiscono di una puntata di Ghost in the Shell SAC in cui gli algoritmi di un trader continuavano a fare soldi anche dopo che lui era morto. C`era una battuta simile a questa: “Gli uffici legali avranno di che lavorare, chissà se un algoritmo può ereditare del denaro“.
In realtà i primi accenni alla questione sono vecchi di almeno dieci o quindici anni; nonostante gli anni trascorsi, il problema risulta essere non solo ancora aperto, ma più attuale che mai.