Internetcrazia mercoledì 29 luglio 2020
Posted by andy in Internet e società, Politica.Tags: Democrazia diretta, trasversalismo
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Scrivo questo post sul mio blog invece che su Wikipedia, ove avrebbe avuto la giusta collocazione, sia come memoria storica, sia come anello di congiunzione nell’evoluzione tra la Seconda Repubblica e la nascita del Movimento 5 Stelle: Wikipedia ha infatti ritenuto questo contenuto non sufficientemente enciclopedico per essere eligibile per la pubblicazione.
Internetcrazia (IC) è stato un movimento politico fondato nel 2005 a Correggio (Reggio Emilia), e si pone come antesignano del Movimento 5 Stelle, nato soltanto a fine 2009.
Il partito è stato sciolto nel 2010, dopo la fondazione del Movimento 5 Stelle.
Il suo scopo era promuovere la democrazia diretta attraverso la E-democracy, sfruttando le potenzialità di Internet grazie alla sua capillarità, alla sua crescente diffusione ed alla mancanza di censura da parte della stampa.
Come riportava il sito: “Internetcrazia è il partito che usa internet come strumento con cui tutti possono prendere parte collegialmente alle decisioni!“.
Oggi ne rimane memoria soltanto negli archivi Internet.
Il partito si costituisce inizialmente come associazione a fini politici e senza scopo di lucro.
Storia
Origini
Il movimento (e poi partito) ha origine da cinque ragazzi che non si riconoscevano in altre formazioni politiche e nei meccanismi di rappresentanza esistenti.
Uno dei valori a cui i fondatori volevano ridare la dignità che gli era dovuta era la rappresentanza diretta del singolo nelle decisioni politiche dello Stato.
Fondazione
Il partito viene fondato nel 2005 da cinque giovani di Reggio Emilia: Paolo Trevisi, Stefano Bertolani, Andrea Menozzi, Fabio Parigi e Daniele Razzoli.
Valori fondanti
Internetcrazia fondava la propria mission su tre valori fondamentali:
- riportare la democrazia al suo spirito originale;
- promuovere e valorizzare la partecipazione di tutti attraverso Internet e le sue tecnologie, per favorire la democrazia diretta;
- promuovere la discussione e la collaborazione costruttiva tra tutti, ripudiando ogni forma di aggressione nella comunicazione verso gli altri soggetti politici.
L’obiettivo era quindi quello di ripristinare una rappresentatività diretta del cittadino, eliminando la ‘delega in bianco’ al politico eletto senza vincolo di mandato.
Ulteriore aspetto rilevante era quello di consentire al popolo di intervenire rapidamente nell’esprimere la propria opinione su argomenti in cui altrimenti, per la lentezza della burocrazia del sistema elettorale, il governo normalmente prende decisioni che possono essere in contrasto con la volontà degli elettori.
Funzionamento di Internetcrazia
Sfruttando Internet come canale per rendere più facilmente accessibili i programmi politici e più partecipativo il voto, Internetcrazia ipotizzava un sistema innovativo per la selezione dei programmi e dei parlamentari da eleggere.
L’idea era quella di dividere il programma politico in sette aree tematiche:
- Istruzione
- Sviluppo tecnologico
- Economia e finanza
- Politiche sociali
- Politica estera
- Sanità
- Sicurezza
L’idea era quindi quella di abbandonare l’idea di un Parlamento basato su partiti politici e di trasformarlo in un organismo suddiviso in aree di governo tecniche.
Pertanto i candidati per le elezioni non si proporranno più per un partito, ma per una specifica area.
Al momento del voto l’elettore avrebbe dovuto scegliere i propri sette rappresentanti, uno per settore. I cento più votati sarebbero andati alla camera (unica).
I più votati per ogni area sarebbero entrati nel governo ed il più votato tra tutti sarebbe diventato premier.
A differenza dal sistema attuale, le funzioni del Parlamento così ipotizzato sarebbero avrebbero dovuto elaborare politiche e proposte di legge dovendo sempre confrontarsi con il volere del popolo, espresso attraverso la piattaforma di voto.
Adesione al partito
Inizialmente per diventare ‘Internetcratici’ era sufficiente registrarsi sul sito creando un proprio account.
In una fase successiva si è passati al tesseramento.
Ideologia
Internetcrazia non si fondava su ideologie di alcun tipo: si concentrava invece sui meccanismi utili a ridare valore alla democrazia diretta, sfruttando Internet come canale che doveva offrire a tutti la parità di diritto di accedere all’informazione ed alla propria rappresentatività politica, favorendone la partecipazione.
Meccanismi di rappresentanza
Internetcrazia non era per l’abolizione dei meccanismi di rappresentanza: si proponeva invece di ridurre i livelli di stratificazione delle deleghe assegnate mediante il voto (amministrativo o politico).
La gerarchia della rappresentanza era pertanto ridotta a tre soli livelli:
- elettori (tutti i cittadini maggiorenni);
- delegati (cittadini che raccolgono deleghe di voto da altri cittadini);
- parlamentari (cittadini delegati a rappresentare ufficialmente nelle sedi di potere il popolo internetcratico).
Simboli

Il simbolo del partito era una mano stilizzata con l’indice puntato, a simboleggiare il cursore del mouse quando posizionato su un collegamento ipertestuale puntato sopra ad una figura stilizzata di uomo.
I due elementi erano inscritti all’interno di una circonferenza, all’esterno della quale era riportato il nome del partito.
Il colore sociale prescelto era l’arancione.
La piattaforma http://www.internetcrazia.com
Il sito ufficiale del partito era www.internetcrazia.com, oggi disponibile soltanto negli archivi di Internet.
Il sito era basato sul CMS Joomla!, ed oltre a contenere tutte le informazioni relative al partito, era anche il portale di discussione ufficiale.
Finanziamento / Merchandising
Temendo potenziali derive e degenerazioni derivanti dal finanziamento del partito, Internetcrazia affidava la raccolta delle risorse necessarie a contributi volontari, al tesseramento e a proventi derivanti da eventi, pubblicazioni ed altre iniziative.
Oltre a queste entrate erano anche contemplati contributi pubblici e non, e rendite derivanti dal proprio capitale.
Internetcrazia non voleva avere un merchandising ufficiale, per prevenire qualsiasi inquinamento derivante dalla circolazione di denaro, o comunque potesse sollevare qualsiasi sospetto sugli scopi del partito o nella sua gestione.
Il partito aveva quindi predisposto il materiale grafico e le istruzioni utili per autoprodurre o far produrre volantini, magliette, o qualunque altro oggetto utile alla promozione dell’immagine del partito.
Riferimenti:
- sito web di Internetcrazia (su Internet Archive – WayBack Machine)
- Statuto
- Regolamento Interno
- Il pensiero di Internetcrazia
- Funzionamento di Internetcrazia
- Rilascio del Codice Fiscale – Internetcrazia un partito NON virtuale!
- Rendiconto economico sintetico – 21 Novembre 2008
- Articolo di Ivan Fulco su La Stampa del 16 Novembre 2005
- Articolo di Paolo Granzotto su Il Giornale del 27 Settembre 2009
- Citazione su OSNews – 28 Aprile 2009
- Intervista ad Andrea Menozzi su Reggio Nel Web – 4 Settembre 2007
- Incontro a Parma del 22 Aprile 2006
- dg
L’App di Google ed Apple per il Contact Tracing Covid-19 venerdì 8 Maggio 2020
Posted by andy in Information Security, Internet e società, privacy, tecnologia, Uncategorized.Tags: app, Apple, concact tracing, Coronavirus, COVID-19, geolocalizzazione, Google, monopolio, privacy, privatizzazione dei dati sanitari
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Google ed Apple sono sempre in prima linea per aiutare gli utenti, rigorosamente gratis perché, come è noto, sono sono organizzazioni no-profit di beneficenza.
Ed anche con l’emergenza CoronaVirus non hanno perso tempo, e (pur essendo concorrenti) sono riuscite a mettersi d’accordo in un instante su uno standard di interoperabilità per realizzare un’app di contact tracing per tracciare i contatti da CoronaVirus.
Occorre intanto fare una precisazione: Android (Google) ed iOS (Apple) si spartiscono praticamente la totalità del mercato mondiale dei dispositivi mobili (circa i tre quarti del mercato per Android, un quarto per iOS, ed un misero 1% ad altri sistemi operativi).
E veniamo agli aspetti inerenti la privacy, tanto cari alle persone (che su FaceBook, WhatsApp, Instagram, etc. raccontano ogni istante della propria vita, cosa fanno, dove sono, i propri pensieri ed i propri gusti e le proprie preferenze).
In nessun caso le app prescelte potranno raccogliere informazioni sulla geolocalizzazione dei soggetti: ciò significa che chi gestirà i sistemi di raccolta e correlazione delle informazioni non avrà accesso a tale informazione.
È invece vero che Google ed Apple conosceranno tutti gli utenti che hanno installato l’app (per poterla installare occorre un account Google / Apple), e la loro posizione (come pensate che queste aziende possano conoscere in ogni istante lo stato del traffico di ogni strada del pianeta ed offrirvi informazioni pertinenti alla vostra posizione?).
Devo deludere coloro che pensano che la geolocalizzazione di un dispositivo si possa fare soltanto mediante il GPS: può essere fatta in vari altri modi che, se usati in combinazione, possono aumentare la precisione ottenuta con un singolo approccio; è possibile geolocalizzare un dispositivo mediante la celle telefoniche a cui si aggancia, le reti Wi-Fi a cui si connette, il suo indirizzo IP, nonché eventuali connessioni Bluetooth.
Esistono poi altri attori ‘trasversali’, che si possono inserire nel mezzo, tra l’app e Google/Apple: tanto per non fare nomi, scegliamo un produttore a caso: Xiaomi (altrettanto vale per altri produttori, in relazione alla loro aggressività commerciale).
Chi ha acquistato uno smartphone Xiaomi avrà certamente notato che ogni app preinstallata sul dispositivo chiede l’accettazione della politica per la privacy di Xiaomi (che naturalmente l’utente legge per filo e per segno fino all’ultima riga!) e di concedere a tali app un mare di autorizzazioni.
Grazie a tali autorizzazioni il vostro smartphone invierà al produttore un mare di informazioni, ed anche se qualche informazione non viene inviata oggi, potrà essere inviata dopo il prossimo aggiornamento delle app (ad esempio, quali app sono installate, quali dispositivi Bluetooth vengono incrociati, la vostra posizione, etc.).
Passiamo ad un’altra considerazione: Google ed Apple si sono affrettate provveduto a sviluppare e rendere disponibili le librerie software che servono per sviluppare le applicazioni, fornendo anche esempi di codice, per facilitare il lavoro degli sviluppatori.
La disponibilità di queste librerie implica che le applicazioni di tracciamento utilizzeranno software e servizi sviluppati da altri, su cui non vi è controllo, e addirittura, per la legge sulla protezione della proprietà di ingegno, è vietato ed è un reato effettuare il reverse engineering del codice per capire cosa effettivamente faccia …
Quindi, anche se chi sviluppa l’applicazione ed il servizio che riceverà i dati non potranno raccogliere informazioni sull’identità e sulla geolocalizzazione dell’app e dell’utente, questo non è necessariamente vero per Google ed Apple, che in ogni istante dispongono dell’identità del dispositivo e dell’utente che lo utilizza (oltre ad un mare di altre informazioni – si veda sopra).
L’idea poi che il memorizzare le informazioni soltanto localmente sul dispositivo dell’utente serva a garantire la privacy, in realtà serve soltanto a non rendere disponibile centralmente ai governi l’informazione, mentre Google ed Apple (almeno per i propri ecosistemi) già la possiedono, grazie al fatto che grazie alla geolocalizzazione ed alle reti di contatti già possedute possono sapere chi è stato vicino a chi (non stupitevi: già anni fa FaceBook inferiva conoscenze tra persone grazie al ripetersi di situazioni in cui due o più persone con account FB si trovassero nel medesimo luogo nello stesso momento …).
Se poi il sistema centrale che raccoglie le informazioni delle app è il loro, e non uno predisposto ad hoc da ogni governo, ci si rende conto che Google ed Apple disporranno (come società private) di una mappa mondiale dei possibili contagi mentre i singoli governi potranno accedere probabilmente soltanto ad un sottoinsieme di tali informazioni.
E questo potrebbe spiegare la fretta con cui questi due colossi, pur essendo concorrenti, si sono messi d’accordo: sapere chi è potenzialmente infetto (o lo è stato) e chi è potenzialmente interessato a vaccini e farmaci per la cura dell’infezione rappresenta un mercato praticamente infinito per le case farmaceutiche.
Utilizzi ancora peggiori di queste informazioni possono includere l’ostracizzazione di persone risultate positive, la discriminazione nell’accesso ad aziende o territori, o anche nella selezione del personale da parte delle aziende.
Inoltre, mentre gli Stati si impongono dei termini per la conservazione di queste informazioni, chi potrà mai andare a controllare se Google ed Apple le distruggeranno veramente, e quando?
Ed in conclusione, visto che queste considerazioni le può fare qualsiasi cittadino, ritengo che il problema meriti un serio approfondimento da parte del Garante per la Privacy, tenendo conto che è in ballo una questione di trattamento di dati personali e sanitari.
Qualche riferimento:
Contraccezione e sicurezza ICT mercoledì 9 luglio 2014
Posted by andy in Information Security, Internet e società.add a comment
Dite la verità … non è facile trovare un nesso tra questi due temi …
Dopo aver letto questo articolo forse qualche preoccupazione potrebbe insorgere anche nei vostri pensieri.
Eppure ora è possibile controllare i periodi di fertilità delle donne con un chip wireless sottocutaneo.
È certamente comodo l’utilizzo di un telecomando, ma … se altri lo facessero al nostro posto, in modo trasversale o selettivo?
Quanto può valere la sicurezza o insicurezza di un dispositivo simile?
Internet fast lanes giovedì 15 Maggio 2014
Posted by andy in Internet e società.Tags: danno per i cittadini, fast lanes, FCC, net neutrality
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Da tempo in America si sta dibattendo sulla liceità di prevedere una ‘Internet a due velocità’.
In sostanza, si tratta di consentire a chi paga di avere più banda da e verso i propri servizi, privilegiandoli rispetto a quelli della concorrenza.
L’interesse commerciale è evidente: se ho un sito di streaming video che ‘funziona meglio’ di quelli della concorrenza, più utenti accederanno al mio piuttosto che agli altri.
La FCC americana (Federal Communications Commission) da tempo è stata chiamata ad esprimersi, ed è dibattuta tra l’interesse delle lobby e l’opinione pubblica (e non solo) che paventa (e non a torto) la fine di Internet come la conosciamo.
Sono al vaglio molte opzioni su come garantire o meno la neutralità della Rete, e su come trovare soluzioni di mediazione.
La cosa interessante e buffa allo stesso tempo è che alcune aziende hanno iniziato a limitare pesantemente tutto il traffico da e verso i siti della FCC a scopo dimostrativo, chiedendo che questa paghi un canone annuale per poter disporre della banda che viene concessa anche agli altri utenti.
Non ho tuttavia trovato da nessuna parte considerazioni sul fatto che la perdita della net neutrality andrebbe, direttamente o indirettamente, comunque a danneggiare il cittadino.
Visto che la banda non è una risorsa infinita, qualsiasi ‘corsia preferenziale’ penalizza tutti gli altri utenti.
Se avete una strada a due corsie, ed una la riservate soltanto al 5% delle auto, il restante 95% delle auto dovrà circolare su una corsia sola.
E questo implica che qualsiasi corsia preferenziale in Rete penalizzerebbe, tra l’altro, anche i siti governativi, servizi di emergenza, e così via, che hanno l’obbligo istituzionale di fornire i propri servizi ai cittadini, e quindi in ultima istanza i cittadini stessi.
In alternativa, anche i siti governativi potrebbero pagare il proprio ‘pedaggio’ per non rimanere penalizzati, e per farlo dovrebbero aumentare le tasse ai cittadini, quindi penalizzandoli anche in questo caso.
Anonymous, Wikileaks, Datagate … perché? giovedì 20 marzo 2014
Posted by andy in Internet e società, Uncategorized.Tags: Anonymous, Datagate, interpretazione, Wikileaks
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Ieri, al Security Summit di Milano, in occasione dell’Hacking Film Festival, ci siamo trovati a dibattere sul fenomeno di Anonymous, e sul perché sia nato.
Mi sono reso conto che, in questa occasione come in Rete, ci si trova sempre a girare intorno a motivazioni concernenti l’etica, l’oppressione, la privacy, la contestazione, e così via.
Non ricordo di aver mai sentito presentare motivazioni per questi fenomeni che abbiano una visione generale ed unificante.
Colgo quindi l’occasione per presentare una mia interpretazione del fenomeno, visto nel suo complesso.
Il ragionamento parte con il considerare Internet (in senso lato, con tutte le sue reti, i suoi elaboratori, programmi, e persone ed istituzioni che contribuiscono a gestirla ed a trattare le informazioni) come un organismo.
Tutto sommato, fin qui niente di nuovo: come il funzionamento ed il comportamento di città e metropoli viene studiato utilizzando anche con approcci biologici, ha assolutamente senso farlo anche ad una scala superiore.
In quest’ottica la mia visione mi porta a considerare tutti i sistemi di accentramento, analisi e controllo dell’informazione come tumori, che per vivere ed accrescere tolgono risorse all’organismo che li ospita.
L’organismo, a sua volta, sviluppa degli anticorpi per cercare di tenere sotto controllo, se non eliminare, la malattia.
Con un occhio più realista e concreto, basta andare a dare un’occhiata ai bilanci degli stati per rendersi conto di quante risorse economiche questi enti (NSA, etc.) tolgano ai bilanci dei rispettivi governi.
Un’ulteriore interpretazione può essere di tipo energetico: qualunque sistema fisico tende a portarsi ad uno stato di minima energia, mentre sistemi come la NSA, che tendono a consumare energia per non produrre nulla(*) in favore del funzionamento generale del sistema.
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(*) in un un’ottica generale che non considera la necessità di sistemi di compensazione per organi antagonisti (i Servizi degli altri stati).
… forse manca una strategia per la formazione a livello nazionale … domenica 2 febbraio 2014
Posted by andy in Information Security, Internet e società, Politica.Tags: didattica, educazione civica, Etica, formazione, Programma Politico, scuola, strategia
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È di pochi giorni fa la notizia che per il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza “A scuola non serve insegnare il digitale”.
In sostanza, la sua visione del futuro digitale dei giovani è che debbano imparare a muoversi con sicurezza in Rete perché a scuola utilizzeranno il computer per studiare sui nuovi libri digitali.
Il fatto che la sicurezza in Rete sia un problema di tutti i cittadini non risolve il problema di come si potrà educare un’intera popolazione, composta di generazioni con culture informatiche differenti (spesso inesistenti).
Il ministro non fa i conti con il fatto che tra una decina d’anni i ragazzi che oggi stanno finendo le medie già si occuperanno di politica, e che tra una dozzina d’anni saranno già responsabili della sicurezza delle informazioni che gestiranno nell’ambito della Pubblica Amministrazione e di aziende che, tramite l’innovazione, dovranno trainare l’economia del Paese.
Il problema non è tanto l’introruzione di ore specifiche di insegnamento, ma quello dei contenuti da insegnare: l’idea di insegnare l’Etica in Rete all’interno delle ore di Educazione Civica non è sbagliata, ma non può prescindere dalle tecnologie utilizzate (la crittografia, tanto per indicarne una), e non può prescindere dal fornire adeguate competenze ai docenti.
E l’altro aspetto che sembra sfuggire è che, mentre la stampa ha semplicemente accelerato e democratizzato l’accesso all’informazione per tutta la popolazione, oggi è la popolazione che crea e pubblica informazione: si è in sostanza reso bidirezionale (o meglio, multidirezionale) il flusso delle informazioni.
Politici ricattabili, e persone che si faranno ‘sfilare’ da sotto il naso informazioni aziendali riservate non contribuiranno certamente ad una crescita politica ed economica del Paese.
Intercettazioni: e ancora ci stupiamo? giovedì 24 ottobre 2013
Posted by andy in Information Security, Internet e società, privacy.Tags: British Telecom, Echelon, NSA, scandalo intercerttazioni, Servizi Segreti, Snowden, Telecom
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Datagate: anche il governo italiano è spiato.
È da anni che sappiamo di Echelon.
Il nostro stato (leggi DigitPA, ex CNIPA), invece che lavarsi i panni sporchi in casa (leggi: Telecom), appalta tutto fuori, e casualmente a chi? a BT (British Telecom), che è pappa e ciccia con gli USA nei programmi di spionaggio.
In particolare oltre che ad assegnargli l’appalto nazionale per la RUPA (Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione, ora SPC – Sistema Pubblico di Connettività e Cooperazione) gli abbiamo appaltato anche quella internazionale (RIPA – Rete Internazionale della Pubblica Amministrazione).
E ci stupiamo ancora che all’estero qualcuno controlli le nostre comunicazioni …?
L’anonimato economico è a rischio! venerdì 29 marzo 2013
Posted by andy in Internet e società.Tags: anonimato, cayman, certificati al portatore, falsificazione, furto d'identità, paradisi fiscali
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Riprendo una notizia (Cayman, hacker vende online le società. “La crisi? Colpa dei paradisi fiscali”) per fare qualche considerazione.
In sintesi, la notizia è che Paolo Cirio ha messo on line sul sito loophole4all.com l’opportunità di comperare, per soli 99 centesimi i certificati di proprietà di società anonime registrate alle Cayman.
L’anonimato fiscale porta grandi vantaggi economici, questo è risaputo, ma è la prima volta che la finanza si trova di fronte ai reali rischi derivanti dall’anonimato stesso.
In effetti, se la proprietà è rappresentata da un semplice certificato al portatore, la sua falsificazione consente a chiunque di assumere l’identità del reale titolare.
In sostanza, ci si sta rendendo conto che tutti possiamo essere ‘anonimi’, se lo vogliamo.
Ma ciò che è di proprietà di un anonimo, di fatto è di proprietà del primo che arriva a reclamarne la proprietà.
In conclusione, in futuro l’anonimato tenderà sempre di più ad essere utile soltanto per rappresentare opinioni, ma non interessi economici.
Anche ENISA affronta il complesso tema dell’oblio digitale giovedì 22 novembre 2012
Posted by andy in Etica, Internet e società.Tags: diritto all'oblio, ENISA
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Anche l’ENISA (European Network and Information Security Agency) ha avviato il dibattito sulla spinosa questione del diritto all’oblio in Europa.
Il tema viene ricondotto al concetto di ‘scadenza dei dati’. Ovviamente si parla di dati personali, e non di dati qualunque.
Provo a trasporre la questione nel mondo concoreto: il latte scade; lo si capisce perché con il tempo cambia la sua natura, e se lo beviamo, stiamo male.
Vorrei definire questo approccio come ‘passivo’; un approccio attivo lo avrei se cercassi di far bere a qualcuno del latte scaduto, o almeno lo commercializzassi (falsificando la data di scadenza sulla confezione).
Ed ora veniamo ai dati: quando consultare un dato può farmi male (approccio passivo)? È difficile immaginare una situazione in cui si possa venire inconsapevolmente a contatto con informazioni personali che possano ‘farci male’.
È invece vero che posso fare del male a qualcuno divulgando un’informazione, soprattutto se decontestualizzata; in pratica posso incorrere (tra l’altro) nel reato di diffamazione.
E mi viene da chiedermi: il ‘dato’ relativo al fatto che la signora XY ha ucciso dei bambini, quando scade? È corretto far sparire questa informazione, tenendo conto che questa signora potrebbe offrirsi come baby sitter per i miei figli?
È vero che si può obliare sull’informazione che il sig. XYZ ha rubato una mela in gioventù, se non ha poi commesso più reati per il resto della sua vita.
Ma se invece ha proseguito a rubare mele (o altro) in seguito? Del primo potrei fidarmi, ma del secondo?
In sostanza, quanto vi fidereste voi di persone che non hanno storia, o di cui comunque vi resta il dubbio che le informazioni che potere trovare in rete siano solo parziali, filtrate e censurate?
E non sarebbe una grave discriminazione il fatto che persone che non hanno commesso reati abbiano il diritto di avere in Rete una immagine completa di sé stessi, mentre altre debbano convivere con dei ‘buchi mnemonici’ della Rete?
Un estremista può essere orgoglioso dei propri trascorsi da contestatore: a che titolo qualcuno può privarlo della sua storia in Rete?
È vero che si parla del diritto della persona di richiedere l’oblio per particolari informazioni, e non di un obbligo di legge di applicare un’etichetta con la scadenza di ogni informazione in Rete.
È fondamentale ricordarsi che al diritto di qualcuno, corrisponde sempre il dovere di qualcun altro.
E lo devono fare indipendentemente da problemi tecnici ed economici.
Rimuovere un dato non significa semplicemente cassare una voce da un indice: significa invece andare anche a rimuoverne ogni copia conservata su sistemi mirror, su backup, andando a riaprire database, rimuovendo record, ricostruendo backup, e distruggendo i vecchi supporti, etc. etc. etc.
Insomma, è importantissimo identificare, riconoscere e formalizzare diritti inalienabili, ma occorre anche chiedersi se la cosa sia fattibile oppure no.
Anche perché andiamo anche a limitare la libertà di informazione ed al diritti di informazione riconosciuti costituzionalmente.
Il tema è talmente nuovo e complesso che porta ad avere tanti pareri, spesso molto discordanti, e problemi tecnici e legislativi ancora impensabili ed inesplorati da affrontare.
Insomma, è un ottimo spunto di discussione ed approfondimento
Di Twitter, della diffamazione e dell’Effetto Streisand giovedì 22 novembre 2012
Posted by andy in Internet e società, Uncategorized.Tags: diffamazione, effetto streisand, Twitter
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UK: un politico (Robert Alistair McAlpine) viene coinvolto per errore in un caso di pedofilia, e parte il tam tam su Twitter per riportare la notizia.
Il falso scoop giornalistico è ccostato le proprie dimissioni al direttore generale della BBC George Entwistle.
McAlpine ora vuole citare per danni non solo chi ha diiffuso l’errata notizia, ma anche tutti gli utenti che l’hanno diffusa e propagata in Rete via Twitter: ipotizza 5 sterline per le decine di migliaia di utenti che hanno twit’ato e retwit’ato la notizia, devolvendo poi in beneficenza il raccolto.
È una buona lezione da imparare: è fondamentale imparare a verificare le notizie prima di spettegolare in rete riportando notizie non verificate e cose che non si conoscono.
Mi piace anche l’azione simbolica della devoluzione in beneficienza, che forse vedrà una maggior benevolenza della Giustizia ad accogliere la richiesta e far partire un’indagine verso così tanti rei.
Resta il fatto che, come la Rete ha colpito, la Rete rimedia: rispetto alle migliaia di persone che hanno propagato la (dis)informazione (poche, rispetto ai numeri di Internet), la Rete rimedia (grazie all’Effetto Streisand).