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Termini al femminile, quote rosa, etc. venerdì 30 settembre 2022

Posted by andy in Uncategorized.
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Per non perdere l’abitudine, mi trovo ancora una volta a fare l’avvocato del diavolo.

Questa volta dedico qualche considerazione ai due temi della discriminazione femminile, con particolare attenzione alle ‘quote rosa’, ed alla tendenza a voler utilizzare forzatamente alcuni termini al femminile.

Sulle quote rosa non c’è molto da dire: sono semplicemente incostituzionali: come previsto dall’articolo 3 della nostra Costituzione, ‘Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, ...’.

Le quote rosa possono essere discriminatorie nei confronti degli uomini se, ad esempio in un concorso o per un’assunzione, venga scelta una donna con meno titoli.

Tuttavia possono essere discriminatorie per le donne, quando si verifichi la situazione opposta, e cioè nel caso in cui venga forzatamente selezionato un uomo, nonostante vi siano donne con titoli migliori. .

Casi e contestazioni del genere si sono già verificate, per esempio in Svezia.

E forzature a parte, esistono contesti un tempo monopòli maschili che sono ormai a principale rappresentanza femminile, senza alcun intervento di regolamentazione.

Veniamo ora alla diatriba sull’utilizzo si termini professionali soltanto al maschile o all’adozione dei neologismi al femminile.

Aldilà dell’utilizzo di neologismi spinti da movimenti femministi piuttosto estremisti, vale la pena di approfondire quanto un termine identifichi una professione piuttosto che una persona.

Prendiamo ad esempio il termine ‘avvocato’, e siamo un’occhiata alla sua etimologia: deriva dal termine latino advocatus, participio passato del verbo advocare, che significa ‘chiamare a sé, chiamare in aiuto’.

Ci riferiamo quindi non ad una persona, ma ad un’azione: quando chiediamo aiuto, quanto è importante se chi chi aiuta sia di sesso maschile o femminile?

Naturalmente altri termini derivano da sostantivi o aggettivi dotati di genere, come minister, (servitore), da cui derivano i termini ministro e ministra.

Insomma, varrebbe la pena di concentrarsi sui significati, senza pretendere ciecamente di trovare un genere in termini che non lo hanno, e d’altra parte non negare la dignità di genere a termini che rappresentano ruoli e professioni che vengono svolte con parti dignità da persone di entrambi i sessi.

In conclusione, personalmente non amo il concentrarsi più sulla forma che sulla sostanza: un bel giorno qualcuno potrebbe anche pretendere l’accettazione di termini come ‘navo’ al posto di’nave’, ‘àncoro’ al posto di ‘àncora’, ‘poleno’ al posto di ‘polena’, e così via …

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