Quanto è affidabile la catena di assicurazione della Qualità? lunedì 27 aprile 2020
Posted by andy in Etica, Miglioramento, qualità.Tags: ACCREDIA, audit, certificazione, EA, Etica, European Accreditation, Garante Privacy, ISO9001, Non conformità
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Vi racconto un fatto realmente accadutomi:
ormai parecchio tempo fa, ho inviato alcuni quesiti ad un’importante azienda pubblica di Milano, che per non fare nomi identificherò con A (tutti quesiti ragionevoli e leciti, di cui uno riguardava il trattamento dei miei dati personali) attraverso il suo portale di attenzione al cliente.
Non ho ricevuto risposte entro i tempi dichiarati sul sito, e nonostante molteplici solleciti attraverso vari canali, l’azienda ha continuato a negarmi le risposte dovute.
Ho quindi coinvolto l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, che ha intimato all’azienda di rispondermi, cosa che è stata fatta (limitatamente al quesito sui dati personali) a pochi giorni dallo scadere dei termini per un procedimento penale.
Ho quindi scritto alla società che ha certificato A rispetto alla norma ISO9001 (anche per i servizi di attenzione al cliente) l’azienda in oggetto (identificherò questa con C).
Tale società non mi ha dato riscontro per quasi un anno, e mi ha risposto soltanto dopo una raccomandata a mano al direttore generale, asserendo di essersi persa la mia comunicazione durante una transizione di sistemi informativi (evidentemente devono essersi persi soltanto la mia, altrimenti l’azienda si sarebbe fermata completamente!).
Insistendo, e dopo approfondimenti vari, la società di certificazione C ha inserito dei controlli nella successiva visita di mantenimento della certificazione di A; tuttavia ha pensato bene di includere soltanto i controlli sul reclamo al Garante, e non quelli relativi agli altri quesiti che avevo posto ad A.
In seguito a ciò, C ha affermato di non aver riscontrato problemi nei processi di attenzione al cliente di A (inspiegabilmente, visto che i miei quesiti rimanevano ancora senza risposta!).
Chiaramente insoddisfatto, ho segnalato e documentato tutta la vicenda ad ACCREDIA, chiedendo che venissero effettuate verifiche nella società C sulle modalità di pianificazione degli audit.
Dopo lungo tempo ACCREDIA ha risposto di aver effettuato una visita documentale presso la società C, e di non aver riscontrato anomalie.
Ovviamente insoddisfatto dei controlli effettuati da ACCREDIA, ho inoltrato tutto l’accaduto ad EA (European Accreditation), che dopo lunga attesa mi ha risposto che non era cosa di sua competenza.
Dopo che ho fatto notare ad EA che la sua mission prevede anche di vigilare sull’etica e sul corretto operato dei membri accreditati, EA ha lasciato cadere ogni ulteriore comunicazione.
In sintesi, nonostante tutta la documentazione e le evidenze fornite:
- un’importante azienda certificata ISO9001 non ha rispettato i propri impegni di certificazione, arrivando anche a violare la legge;
- la società che ne certifica la conformità ha violato i propri obblighi di due diligence (presumibilmente in relazione all’importanza del cliente coinvolto, per non essere costretta a sospendere o revocare la certificazione di cui era garante);
- ACCREDIA ha violato i propri obblighi di due diligence nel verificare il comportamento della società di certificazione (probabilmente per non essere costretta a mettere in discussione il suo accreditamento);
- EA ha violato gli obblighi derivanti dalla propria mission, non assicurando la competenza, imparzialità ed integrità di ACCREDIA.
In conclusione, visto che tutti e quattro i livelli di assicurazione della qualità hanno fallito, quanto oggi si può ritenere affidabile e degna di credibilità una qualsiasi certificazione?
Abbiamo evidenza che almeno quattro persone, titolari o amministratori delegati di importanti aziende ed organizzazioni, sono hanno impostato la gestione del business delle rispettive organizzazioni in modo da privilegiandone l’immagine ed il ritorno economico, venendo meno ai propri obblighi etici.
Occorre infine ricordare che lo stipendio di tali persone è, in ultima analisi, pagato dall’utente finale (in questo caso, anche da me); infatti quando l’utente finale paga il prezzo per il servizio atteso, a sua insaputa corrisponde anche una quota per la gestione della qualità, e quindi delle certificazioni, dei servizi delle società di certificazione, e quindi risalendo anche delle quote di associazione che queste devono corrispondere ad ACCREDIA, e questa ad EA.
In sintesi, ho pagato per due servizi che non ho ricevuto: l’assistenza al cliente, e l’assicurazione della qualità di tale servizio, che è venuta a mancare.
Sulla valutazione degli insegnanti e delle scuole domenica 26 aprile 2020
Posted by andy in Miglioramento.Tags: competenze, competizione, crescita professonale, didattica, incentivazione, INVALSI, merito, meritocrazia, Miglioramento, scuola, studio, università, valutazione
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Concedetemi una breve dissertazione sul tema della valutazione degli insegnanti, tema estremamente indigesto sia a loro che ai sindacati.
In passato ho avuto accese discussioni sul tema con alcuni genitori, docenti ed allievi, che affermavano l’impossibilità oggettiva di valutare (nel senso di ‘dare un voto’ e fare una classifica) docenti e scuole.
Ognuno ha le proprie idee ed opinioni, ma provo a raccogliere alcune idee per dimostrare che in realtà una tale classifica può essere fatta, ed in realtà già viene fatta.
In primo luogo iniziamo a chiederci a chi una tale classifica, se fosse possibile, andrebbe indigesta: certamente ci sono i docenti che cercano di fare il minimo sindacale per portare a casa lo stipendio (non voglio offendere la categoria: sono pochi, ma esistono), e certamente i sindacati, che con la scusa della difesa dei diritti di tutti puntano sempre all’appiattimento, in modo da far avere poco a tutti, invece che incentivare le eccellenze e favorire la competizione verso il miglioramento.
Per inciso la scuola è il fondamento del futuro delle persone e degli stati: senza un’adeguata formazione ed incentivo alla crescita culturale e professionale, le future generazioni dovranno sempre più competere (al ribasso) sul mercato del lavoro non qualificato (e quindi mal retribuito), e quindi sempre più in competizione con l’automazione industriale, che sostituisce la manodopera con i robot.
Vale la pena osservare anche che portare un ragazzo alla laurea costa allo stato ed alla sua famiglia non meno di 250.000 ~ 300.000 Euro (almeno 18 anni di studio, senza contare stage e master e specializzazioni), includendo naturalmente il costo per le strutture, per i docenti, per il mantenimento, per i libri, etc. etc. etc.
Ogni volta che un giovane si trasferisce all’estero per cercare lavoro, perché in Italia il lavoro non si trova oppure è retribuito in modo non competitivo con le offerte all’estero, lo Stato si impoverisce di un quarto di milione di Euro (in altre parole, i cittadini hanno pagato altrettante tasse per finanziare le aziende estere che assumono i nostri giovani).
Immaginate di possedere un’azienda, e di dover assumere una persona per svolgere un lavoro qualificato; avete due alternative: o assumete una persona non qualificata e la formate a spese vostre (si legga: spendete centinaia di migliaia di Euro per fargli fare tutti i corsi necessari ed aspettate anni perché il neoassunto sia preparato), oppure gli offrite qualche spicciolo più di quanto gli avrebbero offerto in Italia (1.000 Euro al mese bastano) per portarvi in casa una persona che ha già un bagaglio culturale e di conoscenze da un quarto di milione di Euro.
Detto ciò, entriamo nel merito dell’oggetto di questo post.
Come ogni genitore, nel corso degli anni mi sono dovuto confrontare con il problema della selezione della scuola ove iscrivere i propri figli.
Non esistono classifiche formali che diano un voto alle scuole, che tra l’altro dovrebbe basarsi anche su un voto assegnato ai singoli docenti.
Guai a parlare di classifiche e di meritocrazia.
Tuttavia, all’interno di ogni scuola si sa quali siano i docenti migliori e quelli incompetenti o che ‘tirano a campare’ in attesa della pensione.
Altrettanto vale per la selezione delle scuole: mi è capitato di ascoltare discorsi di altri genitori, in cui la discriminante era, ad esempio, la quantità di compiti assegnati e da svolgere a casa: c’era chi cercava una scuola che spremessi i figli e li preparasse molto bene per il ciclo di studi successivo (o per il mondo del lavoro), ed altri a cui bastava che i figli non venissero oberati di compiti a casa …
Ora, ditemi voi se queste non sono classifiche tra docenti e tra scuole!
Guardando cosa è accaduto negli anni scorsi, abbiamo visto un tentativo di orientarsi verso una meritocrazia (anche se in versione ‘lite’) con il premio per il merito dei docenti.
Purtroppo la cosa è andata indigesta a molti, che invece che ingegnarsi per migliorare la propria offerta, hanno preferito invidiare chi lo ha fatto, e spingere per una riconversione per un ‘premio’ a pioggia per tutti.
Tra l’altro, per come era stata pensata la valutazione del merito, rattrista vedere come venissero equiparate attività finalizzate agli studenti ed altre finalizzate alla pura apparenza del docente, ove la produzione di tanta carta veniva valutata alla stregua di un grande sforzo didattico.
Il perché sia importante promuovere ed incentivare la meritocrazia l’ho già illustrato prima: ogni studente che resta in Italia è un capitale che abbiamo investito per costruire un futuro migliore per il Paese, invece che impoverirci per arricchire gli altri.
Veniamo ora a come sarebbe possibile realizzare un sistema di valutazione e competitività per il nostro sistema scolastico (naturalmente quanto segue è soltanto uno spunto di riflessione, e non una verità che cerco di imporre al lettore.
Quali sono le persone coinvolte in una valutazione? Sono tante, e certamente vi sono allievi e genitori; tuttavia anche i docenti hanno voce in capitolo, nei confronti delle classi e dei dirigenti, ed i dirigenti stessi nei confronti dei docenti e del livello dell’utenza.
Come valutare i docenti durante il corso di studi? Questo è più difficile, perché in itinere una valutazione dello studente potrebbe risultare condizionata dalle valutazioni ricevute.
Potrebbe essere un indicatore interessante quanto gli allievi (ovviamente mediamente) si appassionino e ritengano interessante una materia: il mero nozionismo porta soltanto a considerare noiosa la materia e a non vederne il valore
…
Le prove INVALSI, se correttamente effettuate, sarebbero un ottimo parametro di confronto; tuttavia esistono zone d’Italia in cui i genitori si aspettano che siano i docenti a dover aiutare gli allievi ad effettuare la prova, commettendo il grave errore di pensare che la prova serva per valutare gli allievi, mentre in realtà è finalizzata a valutare la preparazione che i docenti e la scuola forniscono ai propri figli.
Una valutazione a posteriori delle scuole può essere fatta valutando quanti studenti proseguono gli studi invece che fermarsi, e quanti proseguono con indirizzi attinenti alla formazione ricevuta, senza contare la percentuale di promossi / laureati al ciclo di studi successivo.
Certamente si possono pensare anche indicatori a medio termine, come una valutazione fatta dagli studenti dei propri docenti del ciclo scolastico precedente: a posteriori infatti uno studente non valuterà positivamente un docente che elargiva ottime valutazioni senza fornire invece un’ottima preparazione, e viceversa, una buona preparazione ricevuta verrà valutata molto positivamente indipendentemente dalle valutazioni ricevute, se questa consente di affrontare il nuovo ciclo di studi con adeguate competenze.
E comunque, qualsiasi indicatore che coinvolga la scuola deve anche essere pesato in relazione a parametri di contesto sociale, come il livello medio dell’utenza, i fondi disponibili, la continuità didattica dei docenti, e così via.
In conclusione, ciò che deve cambiare in Italia è l’approccio alla meritocrazia, che non deve essere considerata come uno strumento per penalizzare, ma per incentivare al miglioramento.
L’appiattimento porta a smorzare qualsiasi tendenza al miglioramento, e valorizza l’inedia e disincentiva alla crescita professionale di docenti e dirigenti.
Pur dovendo garantire (giustamente) una dignitosa retribuzione a ciascuno, è doveroso riconoscere a chi fa più del dovuto gli sforzi sostenuti (nell’ottica del valore trasferito agli allievi, e non all’apparenza formale della quantità di carta prodotta).
Una farfalla batte le ali in Australia e si scatena un tornado in America … venerdì 3 aprile 2020
Posted by andy in Etica.Tags: Cina, Coronavirus, COVID-19, decessi, Etica, letalità, mortalità, nCOVID-19, Wuhan
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Trasposto al giorno d’oggi, si potrebbe dire che una persona viene morsa da un pipistrello in Cina ed ogni paese, anche dall’altra parte del pianeta, piange migliaia di morti.
Occultare l’informazione, fare disinformazione e controinformazione … armi di distrazione di massa, come le chiamano alcuni …
Ah, già! Naturalmente ci sono anche le fake news …
Cose vecchie come il mondo, e quindi non è facile credere ciecamente a tutto ciò che ci viene detto, e pertanto non cercherò di proporre come certamente vero tutto ciò che riporterò e dirò di seguito.
Tuttavia molte cose possono far sorgere dei dubbi sui dati forniti dalla Cina.
Possiamo certamente tenere in conto che l’aspettativa di vita in Cina è di circa 6 anni inferiore a quella in Italia.
Viene da chiedersi se un dispiegamento di forze come quello qui riportato sia giustificato, considerando che la Cina è stata in grado (o almeno così afferma) di imporre una totale quarantena di tutta la popolazione, con controlli capillari e più che quotidiani, porta a porta, della temperatura e dello stato di salute delle persone.
C’è naturalmente il gioco delle parti, con reciproche accuse, come la Cina che accusa gli USA di aver seminato il panico, e gli USA che affermano con un rapporto della CIA che i dati forniti dalla Cina sono deliberatamente inattendibili.
Ad oggi la Cina ha dichiarato un numero di casi pari ai due terzi di quelli italiani (81.000 contro i nostri 112.000), ma soltanto un quarto dei morti (3.330 contro 14.000).
I dati tuttavia possono essere straordinariamente diversi, come riportato da questo leak riportato dal Taiwan News, che il 5 Febbraio riporta oltre 24000 decessi soltanto a Wuhan.
Ora, il calcolo della letalità di un agente patogeno non è semplice, e di norma occorrerebbe attendere la fine dell’epidemia (anzi, in questo caso, della pandemia).
Un modo per barare è anche quello di cambiare le carte in tavola a partita già iniziata, come ha fatto la Cina rivedendo la propria definizione di chi è da considerarsi positivo al Covid-19.
Il sospetto si sta diffondendo, e si moltiplicano gli articoli che affrontano il tema (anche qui); c’è anche chi si chiede come sia possibile perdere 21 milioni di utenze telefoniche in brevissimo tempo …
Certo molte potevano essere utenze business, e non potendo più viaggiare e spostarsi, sono diventate inutili; molti magari si sono accontentati della propria SIM personale, rinunciando ad una seconda utenza …
È importante ricordare che la Cina ha deliberatamente ignorato e spazzato sotto al tappeto l’allarme lanciato dal medico Li Wenliang, che è stato minacciato dal suo stesso Stato e costretto a ritrattare le importantissime informazioni divulgate.
Per diletto, mi ha punto vaghezza la curiosità di vedere quale relazione sussista tra il numero di decessi ed il numero di persone guarite.
Dato che il virus è democratico (in realtà abbastanza democratico: predilige gli uomini – ~70% alle donne – ~30%), non dovrebbe conoscere preferenze tra italiani, spagnoli, tedeschi, inglesi e cinesi …
Tuttavia ciò che emerge da un semplice grafico è a dir poco sorprendente:
osservando il grafico ottenuto con i dati di oggi, considerando i 22 paesi con il maggior numero di casi, si nota come vi sia una relazione stretta tra decessi e guarigioni.
Il punto più a destra è relativo all’Italia (il paese che ha dichiarato il maggior numero di morti).
L’unico punto anomalo è quello relativo alla Cina, che si posiziona con un bassissimo numero di decessi ed un altissimo numero di guarigioni.
Come si può spiegare ciò?
Considerando i dati riportati da Worldometers alla data del leak riportato dal Taiwan News, ed ipotizzando uguale la sua letalità in ogni paese (è stato verificato che il ceppo cinese del virus non è diverso da quello italiano), emergono dei numeri sconcertanti (da prendere con ampio beneficio d’inventario: i conti fatti sono veramente semplici e non tengono conto della pletora di fattori che potrebbero condizionarne i risultati).
Considerando come letalità il numero di decessi rispetto al totale dei casi chiusi (includendo quindi anche i guariti), alla data indicata la mortalità in Cina era del 4.21%.
Tuttavia a quella data la mortalità nel resto del mondo (calcolata quindi escludendo i numeri della Cina) era del 29.2%.
Se questa mortalità reale è stata tale anche a Wuhan, a quella data i morti non dovevano essere i 304 dichiarati, ma circa 270.000 …
… e stiamo parlando soltanto di Wuhan, una città di 6 milioni e mezzo di abitanti in un paese di quasi un miliardo e mezzo di persone …
E sin qui ci siamo occupati di ragionare su alcune informazioni raccolte.
Certo, ad oggi i morti ufficiali sono circa 53.000, ma occorre tenere conto del fatto che non abbiamo numeri dall’Africa, dall’India e dalla Russia (oltre ai numeri della Cina, che appaiono pesantemente ‘taroccati’), ed il fatto che molti paesi hanno regole per contare i casi positivi molto ‘restrittive’, e quindi di fatto non rappresentative della realtà.
Dedico le ultime righe ad una considerazione: quanta etica ha un paese che per nascondere un tale problema e non mettere a rischio la propria produzione e la propria finanza è disposto a causare una pandemia e milioni di morti in tutto il mondo?