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Il DARPA finanzia l’anonimato: di necessità virtù? martedì 25 Maggio 2010

Posted by andy in Internet e società, tecnologia.
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Il DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), nota agenzia del Pentagono, vuole sviluppare nuove tecnologie in grado di bypassare le censure del Web.

Per sconfiggere la deep packet inspection è stato avviato il progetto SAFER (Safer Warfighter Communications), che si prefigge di realizzare adeguate tecnologie con caratteristiche di tipo  ‘militare’.

Ma perché andare contro i propri interessi? In fondo uno degli strumenti di cui la Difesa fa pesante uso è proprio l’intercettazione: sembrerebbe che, rendendo disponibili tecnologie di questo tipo, si possano tirare la zappa sui piedi.

Personalmente me ne sono fatto un’idea …

Che lo si voglia o no, anche la Difesa utilizza ed utilizzerà sempre di più Internet e comunque reti su cui non ha il controllo.

Questo significa che un qualunque (ISP) privato potrà filtrare anche i contenuti della Difesa (scientemente o meno).

Un altro aspetto è che se la Difesa ha la necessità di ‘colloquiare’ via Internet con i propri ‘osservatori’ (leggasi: ‘spie’) in paesi ove viene fatto un pesante controllo e filtraggio del traffico, i modi sono soltanto due: o costosi canali riservati, o Internet, utilizzando canali non filtrabili.

E per quanto riguarda l’utilizzo da parte di altri delle medesime tecnologie, la Difesa dispone di una potenza di calcolo molto maggiore degli avversari, ed inoltre è molto più semplice andarsi a prendere (intercettazioni ambientali) le informazioni alla fonte (mittente e destinatario), piuttosto che tracciare e decrittare il traffico coinvolgendo, in modo più o meno legale, tutti i provider che stanno in mezzo.

Un anno in meno di liceo o scuola secondaria superiore … giovedì 20 Maggio 2010

Posted by andy in pensieri, vita quotidiana.
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Ho letto sul corriere una proposta per «Accorciare di un anno la scuola superiore».

Non si tratta di una riforma che cade dall’alto, ma arriva dagli addetti ai lavori e più precisanente dal Magnifico Rettore dell’Università Bocconi. Scopo della proposta è anticipare di un anno l’incontro tra i giovani laureati e il mondo del lavoro.

Secondo costui gli anni giovanili sono i più fertili nell’apprendimento e i più elastici e flessibili nell’acquisizione del modus operandi aziendale, e rinviare il momento dell’approdo degli studenti alla realtà aziendale a causa di un ciclo di studi eccessivamente lungo e ripetitivo rappresenta secondo il Rettore un danno per il curriculum professionale individuale e per le stesse aziende.

Personalmente ho girato un po’ il mondo, più per lavoro che per diletto.
Si può dire tutto della scuola italiana, ma vi assicuro che noi italiani abbiamo un’elasticità che ci invidiano dovunque.
Le ragioni? Probabilmente molte; sicuramente il fattore culturale, ma personalmente credo che sia fondamentale il fatto che a scuola si studia ancora per il fine della conoscenza, e non per quello del vil danaro.
Quando studi per i soldi, studi soltanto le cose che sono più remunerative; le studi meglio, a scapito di quelle che ti danno un’apertura mentale.
In aggiunta, se l’obiettivo è fare soldi, prima finisci la scuola e prima vai a produrre.

Riporto poi una cosa che ho sentito da più parti in merito alla Bocconi: forte della propria fama, da un certo anno in poi (non mi ricordo quale) per aumentare il numero degli iscritti (e quindi delle entrate e dei contributi statali), hanno abbassato la qualità degli esami; nell’immediato ha funzionato, ma sul lungo termine ha penalizzato l’ateneo; conosco personalmente più persone che non vogliono laureati in Bocconi da quell’anno in poi.

Un altro riferimento interessante può essere quello della retromarcia fatta dalla Gelmini e dall’università sulla laurea breve.
La ragione, a parer mio, è semplice: se l’esperienza ha insegnato che per apprendere quanto necessario in varie discipline richiede corsi di studi di 4, 5, ed anche 6 anni, oltre ai successivi anni di dottorato, significa che non è possibile farlo in meno anni; la laurea breve è un escamotage all’italiana per aumentare il numero di laureati rispetto alle medie pietose che abbiamo nei confronti del resto dell’Europa.

Come si dice … anche per fare il mondo ci sono voluti 7 giorni …

Resta sempre ignorato, invece (tipico all’italiana) il problema fondamentale, che è quello di dare delle reali prospettive di lavoro a chi ha studiato.

Ed aggiungo una cosa che per me è fondamentale: nell’economia globale, l’Italia non ha speranze nei lavori ‘di quantità’: il costo della mano d’opera da noi è improponibile, e non abbiamo produzioni in quantitativi su scala mondiale (agricoltura, materie prime, catene di montaggio …).
L’Italia è piccola, ma ha due grandi cose: il turismo e la testa degli italiani.

Invece che fare concorrenza ai cinesi nella produzione delle scarpe, dovremmo puntare all’eccellenza, ad inventare e realizzare le tecnologie del domani, quelle che poi tutto il mondo verrà da noi a comperare.
E le scarpe le compereremo dai cinesi.

Ma per fare questo occorre elevare il percorso degli studi e la professionalità delle persone, invece che abbreviare il percorso facendo credere a tutti di essere dei luminari perché hanno potuto appendere un pezzo di carta alla parete …

Può un computer possedere del denaro? lunedì 10 Maggio 2010

Posted by andy in Internet e società, pensieri, tecnologia.
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6 maggio 2010, ore 2:47 P.M. ora locale: un banale errore umano (una lettera digitata al posto di un’altra) fa precipitare di 1.000 punti l’indice azionario di Wall Street.

Il problema ovviamente non è stato tanto quello del singolo errore, quanto quello della reazione a catena dovuta alle conseguenti elaborazioni automatiche e relative rapidissime sequenze di acquisti e vendite basate sulle proiezioni fatte dai sofisticatissimi algoritmi di previsione finanziaria.

E questo ha finalmente portato sulle prime pagine un problema: quanto si può delegare nella gestione finanziaria ad un computer (o meglio ai suoi algoritmi)?

Ma questo, se vogliamo, è un problema terra terra; un problema più sottile, invece, che già molti si pongono da almeno due o tre lustri, è il seguente: può un computer possedere del denaro?

Ma veniamo ora ad un esempio pratico, su cui iniziare a ragionare; lungi da me l’idea di dare una risposta definitiva, voglio dare invece a tutti uno spunto per ragionarci su un po’.

Ed ecco il semplice scenario:

  • l’esempio prevede tre attori: un mero fornitore di tecnologia (ASP), un investitore, ed un intermediatore finanziario;
  • l’intermediatore finanziario si trova all’interno di una stanza senza vetri (attenzione! Non è la scatola del gatto di Schrödinger! :-), con due feritoie per inserire ed estrarre soldi;
  • il provider fornisce il servizio in cambio di un canone fisso mensile (senza percentuali sulle transazioni – per la corrente, la connettività ed i panini del bar);
  • l’investitore inserisce soldi in una fessura della stanza, e da questa ritira  il capitale con gli interessi, fissi, stabiliti inizialmente;
  • l’investitore e il provider non possono sapere se nella stanza ci sia una persona o un computer;
  • l’intermediatore finanziario, dentro la stanza, investe ed aumenta il capitale;

Supponiamo ora che l’intermediatore sia un professionista in grado di garantire l’interesse del 10% sulla somma che gli date da investire.

Supponiamo anche che questa persona sia in realtà così brava da essere capace di portare a casa più del 10%, diciamo il 15%, tanto per fare un numero.

Voi gli date 100 Sesterzi da investire, e questa persona, correttamente, ve ne restituisce 110.
Ma se questa persona ha fatto ciò che sa fare, in realtà ha incassato 115 Sesterzi, e quindi ha potuto trattenerne 5.
Che voi lo sappiate o meno, non conta: lui ha rispettato i patti; il 10% vi aveva promesso, ed il 10% vi ha fatto guadagnare.
Nessuno può mettere in dubbio che il 5% in eccesso sia di proprietà di questa persona.

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Ed ora viene il bello: ecco il quesito.
E se questa persona fosse in realtà un computer?
Può un computer possedere dei soldi?

Qualcuno potrebbe eccepire che un computer non può possedere denaro, perché non saprebbe cosa farsene.

Ma la questione proposta è diversa: se i diversi attori che interagiscono con un computer che investe denaro non hanno titolo per ‘mettere le mani’ sul denaro prodotto, si può ritenere che questo sia nelle disponibilità / proprietà del computer che lo ha realizzato?

In sintesi: data all’investitore la percentuale dovuta, e pagato il canone di funzionamento al provider (corrente, connettività, manutenzione, etc.), il delta di denaro rimanente di chi è?

Inoltre il computer può sapere cosa farsene: se è stato programmato per fare investimenti, continuerà ad investire il denaro che ‘ha in pancia’, producendo (ci si augura!) altro denaro.

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Qualcun altro potrebbe eccepire che non è possibile che l’intermediatore garantisca un interesse fisso, e che il provider o l’investitore dovrebbero ricevere anche il surplus di interessi; ma questo sarebbe vero se partecipassero anche al rischio: nel caso l’intermediatore non riuscisse a garantire l’interesse promesso, dovrebbe avere il diritto di non rispettare l’impegno preso garantendo un interesse fisso (oneri ed onori).

Ed in ogni caso questa considerazione esula dall’esempio proposto.

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Mi riferiscono di una puntata di Ghost in the Shell SAC in cui gli algoritmi di un trader continuavano a fare soldi anche dopo che lui era morto. C`era una battuta simile a questa: “Gli uffici legali avranno di che lavorare, chissà se un algoritmo può ereditare del denaro“.

In realtà i primi accenni alla questione sono vecchi di almeno dieci o quindici anni; nonostante gli anni trascorsi, il problema risulta essere non solo ancora aperto, ma più attuale che mai.