martedì 28 aprile 2009
Posted by andy in Etica, Internet e società, tecnologia.Tags: competizione, Etica, indicatori, marketing, società più etiche, valutazione
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L’istituto di ricerca newyorkese Ethisphere ha diffuso l’elenco 2009 delle cento compagnie più etiche, tra queste quindici rientrano a vario titolo nell’ambito ICT spaziando dai costruttori di hardware agli operatori telefonici. La partecipazione libera e gratuita è aperta ad aziende pubbliche o private di qualsiasi angolo del pianeta che incassino più di 50 milioni di dollari o vantino oltre 100 dipendenti.
Questa ‘gara’ a quale sia la società più ‘etica’ è tuttavia basata su indicatori che dovrebbero essere definiti un po’ meglio, ed i cui risultati devono comunque essere letti con maggior attenzione.
Credo che a chi ha definito gli indicatori sia sfuggito in piccolo, insignificante dettaglio.
Gli italiani, e le aziende italiane, donano a scopo filantropico quote importanti del proprio fatturato (imposte), che vengono utilizzate dallo stato per il bene di tutti, per le organizzazioni no-profit, etc.
All’estero le cose sono sostanzialmente diverse: a titolo d’esempio, in Inghilterra è possibile donare fino al 15% delle imposte dovute al fisco ad organizzazioni no profit, con il conseguente vantaggio di poter effettuare ulteriori detrazioni fiscali.
In sostanza, non solo a chi produce reddito non fa differenza dare soldi allo stato piuttosto che ad organizzazioni di utilità sociale, ma addirittura nel secondo caso ne ottiene un (minimo) vantaggio.
Concordo con chi dice che si tratta di azioni di marketing più che di etica, ma ancor di più questa classifica è stata pensata proprio per valorizzare ulteriormente le azioni di marketing effettuate.
Il difficile rapporto tra P.A. ed Open Source lunedì 27 aprile 2009
Posted by andy in Internet e società.Tags: cavallo politico, open source, PA, peer review, Programma Politico
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In un tempo in cui l’Open Source vive in un limbo tra cultura hacker underground, fattore di business, e elemento di immagine da cavalcare politicamente per raccogliere qualche voto in più, qualcuno ricorda che la PA già ragiona in termini di Open Source.
Ma è davvero così …?
Addirittura, l’Associazione per il software libero ha deciso di lanciare la campagna Caro Candidato, per associare il nome dei candidati ad un impegno per l’adozione dell’Open Source nella PA.
Qualcuno sottolinea che quando la PA commissiona lo sviluppo di in SW, ne acquisisce automaticamente la proprietà dei sorgenti.
Teoricamente, è vero.
In pratica chi produce il software tende a guardarsi bene dal mettere in condizioni il cliente (la PA) di entrare realmente in possesso dei propri sorgenti, assicurandosi un monopolio di fatto per tutta la manutenzione correttiva ed evolutiva del software.
Possedere dei sorgenti non significa avere un CD pieno di righe di codice: significa invece avere una procedura di consegna per cui il produttore consegna un CD con i sorgenti, un manuale per la compilazione, installazione e configurazione del prodotto, ed il cliente, seguendo pedissequamente le procedure fornite, perviene al risultato richiesto e funzionante.
Su questo si fanno i collaudi ed i test di accettazione.
E questa sarebbe la teoria; in pratica però la PA:
- ha ben pensato di non strutturarsi mai in questo senso, in modo da lasciare (scientemente o meno) il monopolio in mano ai soliti produttori / fornitori;
- non pubblica on-line i sorgenti dei propri prodotti, in modo che qualsiasi softwarehouse interessata ad entrare nel mercato possa investire tempo e denaro nell’acquisizione del necessario know-how per mettersi in competizione;
- non ha mai pensato che i manuali (quelli veri, intendo, e cioè quelli che davvero, se correttamente seguiti, consentono di riprodurre il software commissionato), e tutto il resto costano soldi, e che le gare per lo sviluppo del software non possono essere fatte al ribasso selvaggio (‘pay peanuts, get monkeys …’ dicono gli americani …).
In pratica, non credo molto alla politica che si fregia del marchio ‘Open Source’ per ottenere il voto degli informatici che sanno quanti soldi vengono ‘regalati’ all’estero ogni anno (e con ‘regalati’ ho utilizzato un eufemismo, per non andare a sollevare il sospetto su pesanti interessi di qualcuno, viste le cifre che girano …).
Crederei molto di più ad un politico che inserisse nel proprio programma l’impegno a pubblicare on-line tutto il SW della PA, e che promuovesse la peer review e la collaborazione di tutti gli uffici coinvolti (che spesso dispongono di personale qualificato e personalmente motivato, che viene smontato giorno dopo giorno da burocrazie e logiche insensate).
Etica d’impresa e responsabilità sociale giovedì 23 aprile 2009
Posted by andy in Etica, Miglioramento.Tags: azienda, business, correttezza, crisi, Etica, fiducia, formazione, impresa, ripresa
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C’è chi pensa che il crollo di tutta l’economia virtuale possa diventare una opportunità per riportare la produzione al centro dell’azienda. Tutto ciò dovrebbe passare attraverso una nuova formazione, ad una forte Etica sul lavoro. La futura impresa Etica, prima di tutto dovrebbe saper vendere prima di tutto fiducia sul mercato, e quindi anche un prodotto. L’imprenditore per essere Etico, dovrebbe coinvolgere tutte le risorse umane all’interno dell’azienda, creando quel circolo virtuoso basato sulla fiducia reciproca, da cui tutti traggano benefici, comprese le future generazioni.
Ma forse questa è utopia.
La crisi è certamente un’opportunità di crescita, ma non necessariamente per (o soltanto per) coloro che adottano un approccio etico; anzi, è proprio nei momenti di crisi che appaiono gli sciacalli.
L’Etica è principalmente un fatto personale; se ce l’hai, la applichi in tutte le cose che fai, a partire dalle relazioni personali, e quindi anche in quelle con i collaboratori diretti, fino all’ultimo anello della catena commerciale su cui hai influenza.
Ma l’Etica in un mondo di furbi ti pone in una posizione di estrema vulnerabilità, proprio perché in generale si tende ad esporre il fianco a coloro che vogliono approfittare della tua correttezza.
Un approccio etico sta in generale in piedi finché il business è relativamente limitato, e quindi è limitato il numero di persone con cui si collabora, e la quantità di soldi che vengono gestite.
Appena il business cresce, in generale emerge qualcuno che baratta volentieri la propria etica per una maggior quantità di denaro.
E questo significa rapporti incrinati con i collaboratori, ed una gestione finanziaria che tende ad essere sempre meno trasparente e meno orientata al bene generale dell’azienda.
Pertanto, per avere un’azienda che possa fregiarsi di una reale Etica, in generale occorre che il proprietario sia uno solo (padre padrone …), o che esistano regole e controlli tali da impedire comportamenti scorretti.
In questi anni stanno emergendo nuove certificazioni (SA8000, OHSAS18001, etc.), nonché normative (responsabilità delle persone giuridiche) e concetti come il bilancio sociale.
Sono tutte manifestazioni di un mercato malato che cerca di reagire creando i presupposti per difendersi più facilmente dai furbetti.
Il problema è che siamo in Italia, ed anche queste certificazioni tendono ad essere viste ed approcciate come dei semplici ‘bollini blu’ dietro a cui nascondersi continuando ad operare come prima.
Sarebbe interessante studiare e sviluppare degli indicatori di eticità dell’azienda, indicatori oggettivi, intendo, tali da poter essere pubblicati e confrontati.
Qualcosa di simile al rating dato ai post o ai venditori su Paypal, ma ovviamente oggettivi e non ‘taroccabili’.
la disconnessione degli utenti: un’arma a doppio taglio giovedì 23 aprile 2009
Posted by andy in Internet e società.Tags: condivisione di cocntenuti protetti, disconnessione, dottrina Sarkozy, Nuova Zelanda, P2P, privacy, sanzioni
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La Nuova Zelanda vuole l’implementazione della dottrina Sarkozy, ma si trova di fronte a nuovi problemi, ed ora temporeggia …
Cedere ad interessi privati una prerogativa dello stato può non pagare, alla lunga …
La disconnessione può essere un buon deterrente, ma può ritorcersi contro lo stato.
Dato il fatto che tutto lo scambio delle comunicazioni si sta convertendo dal cartaceo / televisivo all’elettronico / digitale, se lo stato consente la disconnessione di un utente, deve anche strutturarsi per dargli accesso in ogni caso a quanto gli è costituzionalmente dovuto: informazione, corrispondenza e comunicazioni.
Questo significa che sarà lo stato stesso che dovrà mantenere vivi servizi alternativi (e sempre più costosi) per assicurare al cittadino i suoi diritti.
Meditate, gente, meditate …
il perché della corsa alle prestazioni dei browser giovedì 23 aprile 2009
Posted by andy in Internet e società, tecnologia.Tags: browser, compatiblità, compliance, efficienza, Javascript, prestazioni, rendering, standard, velocità
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http://punto-informatico.it/2603646/PI/News/firefox-35-ad-un-passo-dal-gran-finale.aspx
Nella guerra dei browser si è puntato in primis ad aggiungere sempre nuove funzionalità, possibilmente incompatibili con gli altri, per monopolizzare il mercato.
Poi c’è stata la gara alla compliance con gli standard (a cui non ha partecipato la Microsoft), e già da un paio d’anni s’è iniziata la battaglia sulle prestazioni.
Ma qualcuno si chiede che senso possa avere …
Sicuramente alcune ragioni riguardano il fatto che il modello server-centrico dell’HTML si è trasformato nel vecchio client-server, con applicazioni con logiche centrali e capacità di elaborazione e di rendering dinamiche delegate al client (il browser).
Il millisecondo guadagnato può non contare molto, sul PC di ultima generazione, ma in realtà può contare (e valere economicamente) molto, se valutato su macchine meno recenti, o su dispositivi più limitati.
Nel provare a dare una risposta, direi che altri aspetti interessanti di cui tenere conto, oltre a quelli già elencati, possono essere:
1) la convergenza dei browser per avvicinarsi anche ai palmari ed ai telefoni di nuova generazione (in sostanza, per andare a fare concorrenza ad Opera); si tenga conto che il mercato di Internet dai dispositivi sarà un mercato in crescita esponenziale nei prossimi anni, ed avere il miglior software (in termini di velocità e di occupazione di memoria, ma anche di stabilità e di sicurezza) consentirà di installare il browser su dispositivi più economici, e quindi di portare a casa denari;
2) molte applicazioni si stanno orientando al web-based (SaaS – Software as a Service), etc.; questo significa che il caro vecchio modello client-server tornerà a chiedere grandi prestazioni al client; più il browser sarà efficiente ed ottimizzato, più consentirà di tenerci il nostro bravo vecchio PC, anche se un po’ catorcio, invece che dover spendere i soldi per l’ennesimo upgrade (come Microsoft insegna da tanti anni).
Se questo punto può apparire irrilevante ai più, si provi a pensare ad aziende con migliaia di PC installati (a tal riguardo mi ricordo di come, ad una presentazione di Microsoft in occasione del lancio di Windows NT, una persona chiese come mai avrebbe dovuto sostituire tuto il proprio parco macchine (~3000) e pagare l’upgrade delle relative licenze di Windows, per continuare ad utilizzare Word ed Excel nelle segreterie …).
FBI, spyware nel nome della sicurezza mercoledì 22 aprile 2009
Posted by andy in Internet e società, Libertà dell'informazione, tecnologia.add a comment
150 pagine di documenti in precedenza classificati e forniti a Wired a seguito di una richiesta basata sul Freedom Of Information Act (FOIA) statunitense, hanno reso pubblico il fatto che l’FBI si sia attrezzata per inoculare dello spyware nella macchina del cittadino della rete, per tracciare i suoi comportamenti ed a raccogliere prove.
La prima immagine che viene alla mente è quella di un team di super-esperti di sicurezza informatica in grado di inventare software talmente sofisticato da superare qualsiasi antivirus e da non essere identificato in alcun modo …
Ma da bravo avvocato del diavolo, mi piace sempre vedere le cose da da un punto di vista diverso …
Perché diventare matti a scrivere un software (trojan?) che deve riuscire ad eludere tutti gli antivirus e chissà quanti altri controlli, sostenendo costi assurdi?
Supponiamo che io sia il signor FBI, e che faccia una telefonata alla signora Microsoft, e le chieda di far avere la patch di sicurezza MS99-0123456 al PC con indirizzo MAC xx:xx:xx:xx:xx:xx …
Il proprietario si troverà negli aggiornamenti automatici anche un bel pezzettino di codice fatto su misura.
E questo pezzettino di codice non arriverà mai in mano a qualche curioso che abbia voglia di spacchettarlo per vedere cosa fa e a cosa serva: è destinato proprio a te, non a tutti …
E già che ci sono, quando il trojan non serve più, faccio un’altra telefonata alla signora Microsoft, e le chiedo di rilasciare una nuova patch per quell’indirizzo, patch che ha il solo scopo di disinstallare la precedente e farne sparire tutte le tracce …
Si torna insomma indietro, ai tempi di Carnivore, di quando fu dichiarato illegale in quanto contrario ai diritti incostituzionali, e di quando, per pura combinazione, nel 2001 la sentenza di smembramento della Microsoft a causa delle sue politiche anticoncorrenziali venne ribaltata in appello.
È vero che la matematica può essere un’opinione diversa dalla mia, e che non sempre 2+2 fa 4, ma qualche legittimo sospetto può venire …
… l’isola che non c’è … mercoledì 22 aprile 2009
Posted by andy in Futurologia.Tags: città galleggianti, città stato, paradisi fiscali
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In molti sognano di poter creare un nuovo stato, dove le leggi possano essere fatte ex-novo.
Già in molti hanno pensato di crearsi un proprio stato, ma la terraferma libera scarseggia, e forse gli unici che ci sono riusciti sono quelli del Principato di Sealand, altri hanno pensato a città galleggianti, …
Le motivazioni sono tante: chi desidera avere un paese migliore, chi per creare nuovi paradisi fiscali, chi per fondare stati-casinò ove non pagare tasse, …
Le motivazioni possono essere le più disparate.
Purtroppo occorrono denari, tanti denari …
Forse potrebbe valere la pena vedere quanti può costare risistemare un rottame di superpetroliera, rimetterla in condizioni di navigare per portarsi fuori dalle acque territoriali, e con il tempo fare un piano di ristrutturazione per cui gli enormi spazi interni vengano adattati ad abitazioni ed uffici …
… anzi, già che stiamo sognando, prendiamo una vecchia portaerei, così ci si può anche andare e venire comodamente in aereo …
Tanto basta poortarsi oltre le 12 miglia marine: ci arriva anche un Piper o un deltaplano a motore …
È solo questione di tempo, e qualcuno lo farà.
The Pirate Bay: uno scontro da superare mercoledì 22 aprile 2009
Posted by andy in Internet e società, Miglioramento.add a comment
Uno dei temi più caldi su Internet in queste ultime settimane riguarda il processo a The Pirate Bay: è l’ultimo atto di un conflitto iniziato tanti anni fa con la chiusura di Napster, proseguito con innumerevoli cause a cittadini colpevoli e non, e culminato nel colpevolizzare uno dei mediatori del P2P.
Non credo di aver letto mai un commento non schierato da una parte o dall’altra.
Da una parte i produttori di materiale coperto da copyright (audio, video, libri, etc.) e dall’altra il popolo della rete, i primi lamentando perdite da capogiro (poco credibili, in verità), gli altri perdendo il senso etico e quello del rispetto della legge.
Nel mezzo, una legislazione troppo repressiva, ed un diritto d’autore con una durata che invece che adeguarsi alla rapida evoluzione del mercato tende sempre più a coprire la seconda e la terza generazione di discendenti degli autori.
Con questo post non intendo schierarmi da una o dall’altra parte.
Vorrei soltanto tornare alle origini, per vedere quale sia il valore aggiunto delle case di produzione nella catena che va dalla produzione alla fruizione dell’opera di ingegno …
In origine il loro scopo era quello di fare la ricerca dei talenti, e di fare gli investimenti per la produzione (sale di incisione, set ove girare i film, tipografie …) – costi che nessun privato avrebbe potuto sostenere.
In aggiunta ci andavano anche i costi di distribuzione, di commercializzazione, di promozione, etc.
Data la quantità di soldi necessaria, le case di produzione erano costrette a fare selezione, insomma a scegliere i migliori musicanti, i migliori attori, i migliori testi …
D’altra parte si trovavano nella posizione (che credo oggi potrebbe essere ritenuta antidemocratica) di decidere cosa fosse il meglio, ed in che direzione avrebbero dovuto orientarsi i gusti dei fruitori.
Sostanzialmente erano nella posizione di poter orientare la cultura.
Oggi buona parte degli elementi sopra esposti sono venuti meno, così come i relativi costi: quelli di produzione e di distribuzione si sono drasticamente ridotti grazie alla tecnologia.
Addirittura, buona parte dei costi si sono di fatto azzerati, perché li sostiene direttamente l’utente finale, con la sua banda (larga?), il suo CD, il suo masterizzatore, la sua stampante, …
Molto democraticamente, ora tutti possono accedere alla grande distribuzione, ed è così venuto meno anche il costo della selezione: non solo il talent scouting sembra ormai svanito, ma anche per un autore che ‘imbrocca’ un buon pezzo, si produce il CD anche se gli altri brani non valgono un soldo bucato …
Forse è ora di tornare alle origini, e a ridare un significato al lavoro dei produttori, facendo selezione e guadagnando giustamente per il lavoro fatto.
Chi vuole accedere al mondo senza passare attraverso un filtro lo può fare comunque, attraverso Internet, attraverso altri tipi licenza.
Colui che utilizzi queste licenze e si riservi i diritti di sfruttamento commerciale, il giorno che dovesse ‘imbroccare’ un buon pezzo o un buon testo, potrebbe sempre decidere di cedere tali diritti ad un grosso produttore, che si farebbe carico dei costi per la sua promozione, anche internazionale (con traduzione, marketing, etc.).
Ma non posso chiudere questo post senza andare a cercare un senso anche per la SIAE e similari.
La proprietà dei diritti su un opera ha un valore laddove l’utilizzo dell’opera produca valore.
Questo valore, per l’utilizzo personale, è destinato a tendere a zero, sia perché i costi di distribuzione tendono a zero, sia perché la sempre crescente quantità di contenuti di cui fruire tende a spalmare la medesima capacità di spesa su un numero maggiore di autori.
Per il futuro il vero valore aggiunto deriverà dall’utilizzo commerciale (pubblicità, proiezione in televisione, etc.) e rappresentazioni pubbliche.
Sostanzialmente si tornerà a dare un valore diverso alla qualità, sia perché un brano dal vivo è diverso da quello registrato, sia perché una buona opera vale realmente più del ciarpame.
La SIAE deve pertanto cedere sia il monopolio, che è retaggio di tempi ormai passati di dazi e gabelle (e qui, per inciso, ci mettiamo anche l’iniquo compenso sui supporti vergini), sia l’idea di poter cavare sangue dalla rape, concentrandosi sul reale sfruttamento commerciale delle opere.
E, forse, la politica dovrà iniziare a porsi il problema di definire cosa sia la vera cultura, evitando di delegare questa decisione a chi chiama ‘cultura’ tutto ciò che al momento gli conviene vendere.
Effetti della politica commerciale di Microsoft per IE mercoledì 8 aprile 2009
Posted by andy in Internet e società, tecnologia.Tags: antitrust, benefici, confogmrità agli standard, danni, effetti, guerra dei browser, IE, Microsoft, open source, sicurezza
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Mi sono imbattuto in un post di un netizen che, in assoluta onestà, dice di utilizzare IE7 e di trovarsi soddisfatto.
Ad avallare questa sua scelta porta anche ragioni quali gli aggiornamenti continui di Microsoft, e la dimensione stessa dell’azienda, che garantisce stabilità e continuità nel tempo, ed una maggiore forza commerciale rispetto ad Opera, Mozilla Foundation, etc.
D’altra parte chiede come mai in tanti affermino la (presunta?) superiorità degli altri browser.
Le ragioni che portano a questo vivace confronto sono molte, ma spesso molto sottili e nascoste.
Fermo restando che la preferenza personale non va messa in discussione (ma per essere una reale preferenza, dovrebbe almeno essere supportata dall’aver provato ad utilizzare e confrontare i vari strumenti), esistono anche motivi commerciali, tecnici ed economici per cui la scelta può propendere per un browser piuttosto che un altro.
Per quanto riguarda i browser della MS, questi soffrono di scelte tecniche condizionate dalle politiche commerciali; Microsoft ha sempre cercato di consolidare il proprio mercato implementando modifiche agli standard, in modo da costringere gli utenti ad utilizzare i propri prodotti perché gli altri non implementano le specificità proprietarie dei prodotti MS (vedi guerra dei browser tra IE e Netscape).
Quando una scelta tecnica è condizionata dalle scelte commerciali ti trovi per forza di cose ad implementare qualcosa che non è l’optimum tecnico, e questo è un fatto ben noto a tutti gli sviluppatori che si trovano a dover realizzare prodotti venduti a tavolino da commerciali senza essere stati preventivamente interpellati.
Altro aspetto che ha impatto sulla qualità intrinseca di IE è il fatto che, proprio per scelte commerciali, alcuni componenti del browser non stanno nel browser, ma nel sistema operativo; questa scelta è stata fatta da Microsoft per impedire agli utenti degli altri browser di poter usufruire appieno di caratteristiche e funzionalità che MS stessa mette all’interno dei suoi prodotti server (Exchange, SharePoint, etc.); se utilizzi IE, questo è in grado di utilizzare componenti di Windows che servono per il corretto funzionamento dell’applicazione; altrimenti sei costretto ad utilizzare interfacce scarne che sono implementazioni surrogate e limitate di quelle native di Windows.
Peggio ancora è il fatto che, proprio per il fatto che alcuni componenti del browser risiedono all’interno del sistema operativo, qualsiasi vulnerabilità del browser mette a rischio l’intero sistema; una seccatura collaterale è che alcuni aggiornamenti del browser, così come la sua installazione e (teorica) disinstallazione, richiedono il reboot del sistema, cosa che non avviene credo per nessun altro browser, che è di fatto un programma come tutti gli altri, che sta SOPRA e non DENTRO il sistema operativo.
Altra considerazione in merito al confronto tra browser proprietari e a codice aperto è che se Microsoft decide di abbandonare IE6, l’utente (e il produttore di applicazioni) non puoi farci nulla: se è costretto ad utilizzarlo perché IE7 non è per qualche motivo completamente equivalente o compatibile, ha due possibilità: o rinuncia alla propria applicazione, o rinuncia agli aggiornamenti al browser.
Con un browser open, per quanto obsoleto, è possibile decidere di farsi da soli gli aggiornamenti (o comunque di commissionarli a consulenti) in modo da portare avanti il proprio business.
Altro aspetto non irrilevante al giorno d’oggi è che i browser open sono disponibili su piattaforme anche diverse da Windows, e si comportano in modo uniforme su tutte; IE può essere utilizzato soltanto su sistemi Windows.
Se per qualche motivo si è costretti ad utilizzare per forza IE (che è gratuito), si è implicitamente costretti a pagare la licenza di Windows, anche se del sistema operativo non interessa neanche un componente.
Altro aspetto che avvantaggia i browser open è la loro modificabilità ed estendibilità, basata soprattutto sul fatto che il progetto non è condizionato da scelte commerciali ma da esigenze pratiche, e che la disponibilità di sorgenti e documentazione consente di creare personalizzazioni, plugin, estensioni etc. secondo le proprie esigenze.
Dalla parte MS ci si possono aspettare (in generale) soltanto estensioni realizzate dalla MS o da società che lo fanno per soldi, e soprattutto soltanto se in linea con le politiche commerciali dell’azienda.
Per chi realizza applicazioni, dei browser open è possibile prendere anche soltanto alcune parti del browser da integrare in applicazioni custom: con IE puoi soltanto prenderlo tutto in blocco, incluse tutte le parti che non ti servono.
La politica commerciale di Microsoft fa sì che un sito realizzato utilizzando soltanto tecniche e linguaggi standard funzioni alla perfezione con FF, Opera e Chrome: sfortunatamente altrettanto non vale per IE6 e IE7 e IE8, rilasciato nel 2009!!!!
E questo cosa significa? Significa che Microsoft sta utilizzando da anni la propria posizione dominante per costringere gli sviluppatori ad utilizzare le specificità inserite nei propri prodotti perché la principale base di installato è di IE (varie versioni), e lo sviluppatore non ha voglia di mettersi a riscrivere le medesime cose in varie forme per supportare anche gli altri browser.
Un evento a parer mio epocale è l’annuncio di Google di non voler più supportare IE6 in GMail, proprio perché costano troppo di sviluppo senza aggiungere nulla alle reali funzionalità fornite dai server.
Altro esempio? Come mai Microsoft ci ha messo tanti anni a decidersi a supportare il formato PNG delle immagini?
È un formato aperto, e nonostante tutto ancora oggi con IE6 non viene visualizzato correttamente; in tutti questi anni una piccola patch correttiva avrebbero potuto rilasciarla, visto che le capacità per gestire i GIF (che sono sostanzialmente equivalenti) e tanti altri formati delle immagini ci sono.
Se per curiosità punge vaghezza di guardare il sorgente di una pagina di Gmail, si provi a notare quante specificità ci sono per ogni browser.
Ogni ‘if’ costa tempo e denaro per lo sviluppo ed il test dei risultati prodotti.
Tutto denaro sprecato, perché basterebbe scrivere le cose una volta sola, conformandosi agli standard.
Se gli standard non sono adeguati, si estendono e si migliorano.
Per curiosità, è possibile andare a vedere i risultati dei test ACID3 di conformità agli standard dei browser.
Fatta la legge, calato il traffico? martedì 7 aprile 2009
Posted by andy in Internet e società, privacy.Tags: IPRED, P2P, privacy
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La Svezia ha recepito fra le polemiche la direttiva europea IPRED.
Dal primo di aprile potrebbe bastare un indirizzo IP all’industria dei contenuti, potrebbe bastare una richiesta all’autorità giudiziaria per ottenere l’ordinanza con cui chiedere al provider di identificare l’abbonato. Rastrellamenti di dati nei circuiti del file sharing potrebbero sfociare in una gragnola di denunce o di richieste di risarcimento.
Sembra che il traffico rilevato dai fornitori di connettività sia sceso del 33% nel primo giorno di applicazione della legge.
Fatta la legge, calato il traffico, si potrebbe dire.
Ma la prova del nove sarà l’aumento degli incassi dell’industria dei contenuti: o aumenteranno, e questa sarà la riprova che questi galantuomini avevano ragione, oppure il loro fatturato rimarrà stazionario o in calo, con le seguenti due possibilità:
1) non dichiarano tutte le entrate, o
2) la gente comunque non avrà da spendere le montagne di soldi che questi signori hanno sempre ipotizzato esistere.
Staremo a vedere …
Esiste naturalmente la quarta delle tre possibilità, ovverosia che le cose non cambieranno, ed il P2P reagirà con appropriati anticorpi a questa intrusione privata nella privacy dei cittadini.
In ogni caso la cosa più interessante da verificare è se l’aver venduto la privacy dei cittadini all’industria dei contenuti porterà benefici o meno, e se si, a chi.
E quali danni.