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La PA e la realizzazione delle sue applicazioni. venerdì 26 settembre 2008

Posted by andy in Internet e società, Miglioramento.
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Oggi l’insieme della applicazioni della PA è un gran pasticcio, perché manca una visione d’insieme.
E con visione d’insieme non parlo di fare un contratto nazionale per la telefonia e le linee dati (OK, ci vuole anche quello), ma di avere un approccio pragmatico nella gestione delle informazioni.

Quante anagrafiche esistono oggi, tra loro indipendenti e non allineate? Tante!
INPS, Fisco, Giustizia, anagrafi locali, Camere di Commercio, PRA, settore militare, servizi segreti,  etc.).
Per non parlare di banche dati parallele che forniscono servizi per la PA.

E che dire delle tecnologie?
Queste non sono state selezionate centralmente, per avere uniformità e poter condividere know how e ridurre costi: molto (troppo) spesso vengono decise dai fornitori che prendono gli appalti per l’informatizzazione, che per interesse privato o per ignoranza rifilano al cliente ciò che più gli fa comodo, spesso infilandosi in tunnel realizzativi incredibili, da cui faticano o non riescono ad uscire – sicuramente non con risultati soddisfacenti per gli utenti dell’Amministrazione né per il cittadino, né tantomeno per le finanze.

E vogliamo aggiungere il fatto che in pratica l’Amministrazione non <i>possiede</i> neppure il codice dei programmi che ha commissionato?
In realtà questo resta nelle mani dei fornitori, che in questo modo creano un monopolio tale da bloccare qualsiasi evoluzione.

Il ragionare dei ministeri e degli uffici come enti autonomi e indipendenti dagli altri, l’incapacità di definire poche ma chiare linee guida che consentano all’Amministrazione di mantenere il controllo su ciò che viene realizzato, e la mancanza di organismi e competenze trasversali creano ridondanza, complessità ed inutili costi aggiuntivi.

A peggiorare la situazione la sostanziale non conoscenza delle tecnologie disponibili porta a stanziare montagne di soldi per l’acquisto di prodotti per cui sono disponibili degli equivalenti gratuiti, distogliendo così i fondi dai punti critici su cui intervenire.

Ciò che non è ancora stato compreso è che il costo di acquisto di un prodotto è in generale ridicolo rispetto al costo per la sua conduzione, manutenzione ed evoluzione, e che a tali costi occorre aggiungere il danno pubblico per i ritardi nell’adeguamento dei servizi in relazione alla mutazione della legislazione.

Occorre pertanto creare un organismo trasversale a tutta la PA che definisca linee guida comuni, e che crei i mattoni fondamentali comuni a tutti gli enti, ed a cui gli enti possano partecipare costruttivamente, sia con le proprie competenze sia con il proprio contributo realizzativo.

Con i soldi che ogni anno vengono spesi in licenze proprietarie l’Amministrazione potrebbe finanziare la realizzazione delle proprie applicazioni, fornendo incentivi agli enti più produttivi.

Etica e disastro economico venerdì 26 settembre 2008

Posted by andy in pensieri.
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L’attuale disastro, etico ma anche economico, derivano dalla cultura della massima redditività a breve termine importata da un mondo, quello di oltre oceano, completamente diverso dal nostro.
Vorrei dire che in sé non sia sbagliato (pur non pensandolo), ma Emron e Lehman Brothers insegnano (qui da noi siamo ancora solo degli apprendisti – vedi Cirio e Parmalat).

È vero che si iniziano a percepire i segni di una controtendenza (certificazioni etiche e non, come la SA8000, la ISO14001, la OHSAS18001) per non parlare della BS25999 che si concentra sulla <i>business continuity</i>.

Il guaio è che negli ultimi anni gli incentivi ai commerciali ed ai manager sono sempre stati basati sul fatturato e non sull’utile, ed a fine anno e non a più lungo termine.
Questo ha significato acquisire ordini in perdita (la provvigione era garantita dal fatturato e non dall’utile di commessa) ed a operazioni di ‘risanamento’ basate su tagli selvaggi e non ragionati, finalizzati a fare un utile di cassa a fine anno su cui portare a casa dei premi.
Poco ha importato se quei tagli hanno negli anni seguenti alla distruzione dell’azienda.

Ciò che manca è una cultura del business a medio e lungo termine.

Ambient awarness ed il successo di Twitter e Facebook venerdì 26 settembre 2008

Posted by andy in Internet e società, pensieri.
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Checché si dica che viviamo nell’era dell’informazione, in realtà a parer mio stiamo andando verso l’era della disinformazione (ovviamente sto esagerando un po’, ma ora chiarisco il concetto).

Premetto che sono affascinato dalla tecnologia, in ogni sua concretizzazione, in modo che non sono uno <i>contro</i>, bensì uno <i>a favore</i>.

È un dato di fatto che in mezzo a troppi dati diviene difficile capire quali siano quelli interessanti, e la Statistica esiste proprio per la necessità di evincere informazione da un mare di dati singolarmente insignificanti.

Viviamo in un tempo in cui tutti passano molto tempo a raccontare e a pubblicare in Rete di tutto, in tempo reale, senza fare prima una sintesi.
Ormai si <i>chatta</i> selvaggiamente, riempiendo il tempo di parole, ma poco di contenuti.

Manca il momento della sintesi personale, quello che un tempo esisteva mentre si scriveva una lettera, che per forza di cose ti limitava nel tempo e nello spazio a disposizione, ed in qualche modo costringeva il destinatario a prendersi del tempo e a dedicare attenzione alla lettura.

Ormai l’obiettivo sembra essere diventato quello di raccontare tutto ciò che passa per la mente, senza preoccuparsi di chi lo leggerà e di come lo interpreterà, togliendo quindi a ciò che pubblichiamo lo status di pensiero, e lasciandogli solo quello della sensazione ed emozione (non che questo sia sbagliato in sé, intendiamoci).

Resta solo da capire perché pubblichiamo tutto, ma proprio tutto, ciò che ci passa per la mente.

Qual’è per ciascuno di noi il motivo per cui pubblichiamo dei contenuti?
– Migliorare il mondo?
– Lasciare una traccia del nostro pensiero?
– Lasciare una traccia del nostro evolvere emotivo?

In pratica forse varrebbe la pena di chiedersi cosa se ne farà Internet (intesa come Rete in sé, ma anche come pubblico di lettori) dei nostri post tra uno, dieci, cento, mille anni anni, perché ormai l’informazione è per sempre (Echelon e le varie telco insegnano …)

Opportunità per la riduzione degli sprechi nella PA mercoledì 10 settembre 2008

Posted by andy in Miglioramento.
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Occupandomi di Qualità ed ottimizzazione di processo per un’azienda che opera come fornitrice di servizi ICT per la Pubblica Amministrazione, mi sono messo per curiosità a fare quattro conti sui risparmi che si potrebbero ottenere adottando delle semplici politiche di risparmio energetico presso un edificio della PA di Milano, con alcune migliaia di PC.

Utilizzando parametri pessimistici, è emerso un possibile risparmio per il solo utilizzo di PC che varia dai 500.000 ai 2.500.000 Euro all’anno.

Il valore dei 500.000 Euro corrisponde al caso migliore (quello in cui gli utenti già stanno molto attenti al risparmio energetico), mentre quello dei 2.500.000 corrisponde al caso in cui nessun utente presti attenzione ai propri consumi.

Ritengo più che probabile che sia più che realistico un possibile risparmio di 1.000.000 Euro / anno.

Ora, con tutti questi soldi si potrebbe aggiornare il parco macchine più obsoleto, conseguendo un ulteriore risparmio energetico dovuto all’hardware di nuova generazione.

E fin qui tutto bene.

Ho quindi sottoposto la questione al referente per l’Informatica per tali uffici, che ha apprezzato l’idea, ma che mi ha spiegato perché è sostanzialmente irrealizzabile.

La situazione è infatti la seguente: la bolletta della corrente viene pagata non dall’ente ospitato nel palazzo, ma dal Comune di Milano, che a sua volta gira i costi al Ministero, dal quale viene riconosciuto un rimborso dell’80%.

In pratica, qualunque soluzione venisse adottata per ridurre, anche drasticamente, i costi, non darebbe margini di manovra all’ente ospitato, in quanto l’energia non è una voce del proprio budget.
Qualsiasi proposta al Comune non solleverebbe particolare interesse, in quanto il delta di interesse sarebbe soltanto il 20% sull’effettivo risparmio, ed il Ministero che sostiene i costi non prevede incentivi al risparmio.

In pratica nessuno ha un concreto interesse a diminuire tali costi.

Purtroppo la bolletta della corrente consumata da questo palazzo fa il giro d’Italia, passando di ufficio in ufficio, senza che qualcuno possa trarre qualche beneficio da un eventuale risparmio (cosa che motiverebbe ad intervenire in qualche modo).

E da quanto sopra, alcune idee per incentivare il risparmio:
la PA potrebbe offrire come extra budget ad ogni ente il 50% del risparmio conseguito su ogni voce.
Tale budget potrebbe essere utilizzato in parte (il 5%?) come bonus per i promotori delle soluzioni di risparmio, ed il resto per ulteriori interventi orientati al risparmio energetico, alla sicurezza degli ambienti ed al miglioramento del servizio e delle infrastrutture in generale.

Si pone ovviamente una condizione di responsabilità: i bonus accordati devono essere corrisposti a distanza di qualche anno dal conseguimento del risparmio, in modo che possano essere revocati nel caso in cui le scelte effettuate non siano valide (o addirittura penalizzanti) a breve o lungo termine (è troppo facile tagliare selvaggiamente per incassare gli incentivi, per poi creare situazioni di peggior disservizio).

Tenendo conto della quantità di uffici presenti in Italia, ed estendendo l’approccio ad altri capitoli di spesa, ritengo che i numeri possano diventare molto interessanti.

Google Chrome: perché? lunedì 8 settembre 2008

Posted by andy in Futurologia.
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Qual’è la vera idea che sta dietro a Google Chrome?

Di browser ce ne sono già tanti, e a parte i nuovi skin e gli accorgimenti per aumentarne l’usabilità, anche la guerra sulle prestazioni sembra convergere verso valori limite.

E allora perché un nuovo browser?

In effetti, uno dei punti di forza di Google è l’accessibilità e l’usabilità dei propri servizi indipendentemente dal sistema operativo e dallo strumento utilizzato, ed il valore dei suoi servizi non cambia in relazione a come vi si accede.

Anche un nuovo browser non dovrebbe discostarsi da questa interpretazione.

E allora perché?

Occorre sicuramente tornare all’obiettivo su cui si fonda Google: controllare e veicolare tutta l’informazione mondiale, con la collaborazione degli internauti.

Come è vero da sempre nel mondo del software, anche la più bella applicazione finisce nel cestino se non è facilmente utilizzabile.

E quindi, per fare in modo che le informazioni non rimangano chiuse sui PC degli utenti, o non vengano veicolate attraverso servizi di altri, il miglior modo è quello di realizzare applicazioni alternative, più semplici, più economiche, e soprattutto che rispondono in tempo reale alla digitazione dei contenuti.

Complice di Google è un mercato monopolizzato, ed ormai arrivato a saturazione.

La politica di Microsoft di accettare tacitamente la copia del proprio software per divenire lo standard di fatto le ha consentito di divenirlo effettivamente, e quindi di poter ‘ricattare’ il mondo, partendo con azioni legali e rastrellando montagne di denari per le installazioni non licenziate.

Il mercato ora si sente messo alle corde, e si chiede come mai debba pagare montagne di soldi per continuare a scrivere documenti, fare quattro conti, navigare su Internet ed utilizzare la posta elettronica.

La risposta si chiama Free Software, ed ancor più Open Source, perché ormai sono pochi a fidarsi di ‘scatole nere’ di proprietà di società estere di cui non si sa nulla, o peggio di cui si sa fin troppo.

Altro aspetto non irrilevante è che è diventato necessario per molti il fatto di poter disporre dei propri dati anche fuori di casa o fuori dal proprio ufficio, ma mettere in piedi un proprio server connesso ad Internet non è proprio una cosa da tutti, ed aprire il proprio computer a tutti è fonte certa di problemi.

A questo si può aggiungere che prima o poi tutti hanno dovuto portare tutti i propri documenti da un vecchio computer ad uno nuovo (e tutti sanno quanta fatica è costato il ricreare un ambiente equivalente a quello originale!), oppure è capitato di perdere dati e documenti a causa di un salto di corrente o di un hard disk che ha deciso di ritirarsi a vita migliore.

L’alternativa è stata una sola: depositare tutti i propri file e la corrispondenza, le foto, etc. su un server accessibile da Internet.

Il primo passo è stato quello di realizzare delle alternative alle suite di office automation, ed in questo modo anche i documenti personali, e spesso di lavoro, finiscono su questi server.

E con questo MS Office viene tagliato fuori.

Nel frattempo è successa una cosa, a cui i più non hanno dato molto rilievo: i nuovi firmware e BIOS dei computer che acquistiamo stanno diventando sempre più free, in generale derivati da Linux, e con questo si portano dietro una serie di applicazioni di base che possono funzionare anche senza aver caricato un intero sistema operativo: stiamo parlando, come minimo di un browser.

… sono poche le cose che oggi non si possono fare avendo soltanto un browser …

Ed eccoci arrivati a Google Chrome: è stato progettato per divenire di fatto un sistema operativo non di rete, ma di Rete: la sua architettura lo mette in condizione di poter funzionare, in un prossimo futuro, indipendentemente da un sistema operativo come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi; si appoggerà direttamente al BIOS del sistema.

E con questo vengono tagliati fuori anche i sistemi operativi (Windows in primis).

Yahoo ha il fiatone, Microsoft non ha le capacità per scrivere software pensato con gli occhi degli utenti, il software ed i servizi di Google sono gratuiti … ed il gioco è fatto!

de l’Anisotropia della Mente Umana mercoledì 3 settembre 2008

Posted by andy in vita quotidiana.
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L’anisotropia (opposto di isotropia) è la proprietà per la quale un determinato oggetto ha caratteristiche che dipendono dalla direzione lungo la quale esse sono considerate.

Più in generale può definirsi come un’asimmetria nel manifestarsi delle proprietà o capacità di un oggetto.

Facendo riferimento alla mente umana, mi capita sovente di osservare che questa è in grado di svolgere azioni ridicolmente semplici, ma non le loro opposte, come ad esempio:

  • accendere luci, ma non spegnerle,
  • aprire rubinetti, ma non chiuderli,
  • aprire le porte o gli armadi, ma non richiuderli,
  • lamentarsi di quelli che parcheggiano male, per poi a propria volta parcheggiare male,
  • gettare le cicche delle sigarette per strada, ma non farlo in casa propria,

Orbene, a cosa è dovuta questa anomalia del comportamento?

Maleducazione? Stupidità? Egoismo?

Spesso sono sinonimi.

A voler scavare, sono tutti comportamenti che derivano da un approccio egocentrico e poco sociale delle persone, situazione in cui si è più facilmente portati a pensare di essere superiori agli altri, e di avere dei diritti, ma non dei doveri (ad esempio, il diritto di sporcare, ma non il dovere di pulire).

E la soluzione al problema? Semplice, ma non facile.

Occorre un solo un po’ di umiltà, e renderci conto che siamo soltanto passeggeri su un pianeta che esisteva prima di noi, e che esisterà dopo di noi, eredità per i nostri figli nelle condizioni in cui lo lasceremo.