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Termini al femminile, quote rosa, etc. venerdì 30 settembre 2022

Posted by andy in Uncategorized.
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Per non perdere l’abitudine, mi trovo ancora una volta a fare l’avvocato del diavolo.

Questa volta dedico qualche considerazione ai due temi della discriminazione femminile, con particolare attenzione alle ‘quote rosa’, ed alla tendenza a voler utilizzare forzatamente alcuni termini al femminile.

Sulle quote rosa non c’è molto da dire: sono semplicemente incostituzionali: come previsto dall’articolo 3 della nostra Costituzione, ‘Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, ...’.

Le quote rosa possono essere discriminatorie nei confronti degli uomini se, ad esempio in un concorso o per un’assunzione, venga scelta una donna con meno titoli.

Tuttavia possono essere discriminatorie per le donne, quando si verifichi la situazione opposta, e cioè nel caso in cui venga forzatamente selezionato un uomo, nonostante vi siano donne con titoli migliori. .

Casi e contestazioni del genere si sono già verificate, per esempio in Svezia.

E forzature a parte, esistono contesti un tempo monopòli maschili che sono ormai a principale rappresentanza femminile, senza alcun intervento di regolamentazione.

Veniamo ora alla diatriba sull’utilizzo si termini professionali soltanto al maschile o all’adozione dei neologismi al femminile.

Aldilà dell’utilizzo di neologismi spinti da movimenti femministi piuttosto estremisti, vale la pena di approfondire quanto un termine identifichi una professione piuttosto che una persona.

Prendiamo ad esempio il termine ‘avvocato’, e siamo un’occhiata alla sua etimologia: deriva dal termine latino advocatus, participio passato del verbo advocare, che significa ‘chiamare a sé, chiamare in aiuto’.

Ci riferiamo quindi non ad una persona, ma ad un’azione: quando chiediamo aiuto, quanto è importante se chi chi aiuta sia di sesso maschile o femminile?

Naturalmente altri termini derivano da sostantivi o aggettivi dotati di genere, come minister, (servitore), da cui derivano i termini ministro e ministra.

Insomma, varrebbe la pena di concentrarsi sui significati, senza pretendere ciecamente di trovare un genere in termini che non lo hanno, e d’altra parte non negare la dignità di genere a termini che rappresentano ruoli e professioni che vengono svolte con parti dignità da persone di entrambi i sessi.

In conclusione, personalmente non amo il concentrarsi più sulla forma che sulla sostanza: un bel giorno qualcuno potrebbe anche pretendere l’accettazione di termini come ‘navo’ al posto di’nave’, ‘àncoro’ al posto di ‘àncora’, ‘poleno’ al posto di ‘polena’, e così via …

Un buon esempio su come buttare i soldi dei contribuenti … mercoledì 28 settembre 2022

Posted by andy in Uncategorized.
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Pochissimi anni fa è stata rifatta integralmente la segnaletica interna al Palazzo di Giustizia di Milano – https://it.m.wikipedia.org/wiki/Palazzo_di_Giustizia_(Milano) (sapete, tutti quei cartelli che indicano ascensori, bagni, uscite di emergenza, numeri di stanza, corridoi, e così via …).

Palazzo di Giustizia di Milano

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Palazzo_di_Giustizia_(Milano)

Al di la dell’idea, secondo me deprecabile, di spersonalizzare i nomi dei corridoi, originariamente intitolati ai nomi dei grandi della Giustizia ed ora sostituiti con degli anonimi numerali, vale la pena concentrarsi sulla qualità del lavoro fatto.

È soggettivo apprezzare o meno il gusto di chi li ha pensati e di chi ne ha approvato il progetto (secondo me i cartelli sono invisibili ed illeggibili – provate a cercare un bagno), ma questa è un’altra storia.

Vorrei invece concentrarmi su un altro aspetto: quello della qualità del progetto e si come sono stati spesi i soldi dei contribuenti.

Il Palazzo è stato costruito tra il 1932 ed il 1940, e questo fatto potrebbe far dire ad alcuni nostalgici che ‘a quei tempi i treni arrivavano in orario‘; tuttavia l’aspetto che più mi interessa in questo momento è lo spirito con cui si affrontavano progetti e lavori a quei tempi.

Un Tribunale è un’opera che è destinata a durare nel tempo (non è un tensione da circo che si monta e si smonta dopo qualche giorno di spettacoli), ed è addirittura destinata a sopravvivere a chi l’ha voluto e a chi l’ha progettato.

A parte l’ambizione e la volontà di voler lasciare un buon ricordo del proprio passaggio su questa Terra, oggettivamente si tratta di lavori la cui fattura deve essere adeguata agli obiettivi di durata (possibilmente non come il Ponte Morandi di Genova).

In quest’ottica, nei suoi circa 90 di onorato servizio questo edificio è costato veramente poco ai cittadini: essendo costruito con materiali durevoli (marmo, granito, cemento, …), non ha praticamente mai richiesto importante manutenenzione.

Tolta la necessità dopo un’ottantina d’anni di fissare meglio i marmi della facciata, tutto sommato questi ecumenico se l’è cavata con qualche lucidata di pavimenti di tanti in tanto, e poco altro.

E veniamo ora al fatto degno di nota: pochi anni or sono (ma veramente pochi!) qualcuno ha ritenuto necessario aggiornare la segnaletica interna al Palazzo (OK, c’è n’era bisogno: se in origine il Palazzo era pieno di bidelli ed uscieri che davano informazioni al pubblico, oggi che non ci sono più le persone hanno realmente difficoltà ad orientarsi.

Ecco allora entrare in gioco la sprovvedutezza di chi ha fatto il capitolato, di chi ha fatto il progetto, di chi lo ha approvato, ed anche di chi ha fatto leggi contro l’interesse dello Stato(*).

Lascerò tuttavia al lettore di trarre le conclusioni che riterrà più opportune mostrando prima quale sia l’ingegnosità moderna del risparmio selvaggio, e quindi l’approccio di chi il Palazzo lo ha immaginato e poi realizzato.

Insegna scollata n. 1
Insegna scollata n. 2

Insegna originale, in cemento

Il risparmio selvaggio ha portato ad incollare le nuove insegne sulla vernice e sull’intonaco, e con il tempo (molto poco, in verità, sono cadute portandosi dietro l’imbiancatura fatta pochissimi anni prima.

Le insegne originali, vecchie di almeno ottant’anni, sono ancora li, perfette; al limite, se il tempo le sbiadisce, basta passare con un ruolo ed un po’ di vernice rossa, con un costo di pochi minuti e pochi Euro.

Quanto costerà invece rifare tutta la (nuovissima) segnaletica del Palazzo?

… ai contribuenti l’ardua sentenza (perché alla fine si scoprirà che ogni garanzia sul lavoro sarà scaduta, o forse non sarà neppure stata prevista nel contratto, per spendere meno).

(*) Nota: ho lasciato in sospeso una questione, quella della sprovvedutezza(?) dei politici che abbiamo eletto (o troppo spesso non eletto).

Com’era quel vecchio adagio popolare …? Chi più spende, meno spende…?

Del nuovo Principato del MareBlu martedì 20 settembre 2022

Posted by andy in Libertà dell'informazione, Politica.
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Questa estate ho avuto nuovamente modo di dimorare per un po’ di tempo presso un ameno paesino della riviera ligure di ponente.

Pensavo che si trattasse di un normale comune della Liguria, ma ho dovuto ricredermi: si trattava del nascente principato del MareBlu!
Ovunque guardassi, ovunque mi voltassi, bandiere del MareBlu per ogni dove, esposte in cima ad ogni asta e pennone.
Essendo già stato ospite in passato di tale comune, avevo memoria di bandiere italiane esposte in tutti i luoghi più rilevanti del paese.

Quest’anno invece no: soltanto una bandiera di fronte al municipio (tra l’altro esposta in posizione subalterna a quella europea) e, per fortuna, quella ben issata nello stabilimento dei Bagni Italia.

A ben cercare, un altro paio di bandiere italiane le ho trovate, piccole, lacere e comunque sempre in posizione subalterna a quella del MareBlu.

La più grande bandiera che ho visto era una bandiera australiana, ben esposta in uno degli stabilimenti balneari.

La nostra bandiera non sventolava più neppure fuori dalle scuole, al comando della Polizia Locale ed alla stazione dei Carabinieri.

Persino la posizione d’onore tra le bandiere delle quattro repubbliche marinare era stata riservata alla bandiera del MareBlu.

Ho documentato fotograficamente il tutto ed ho chiesto spiegazioni al sindaco del paese, che mi ha risposto che il Comune è costretto ad esporre ed a far esporre le bandiere del MareBlu, pagandole anche di tasca propria ben 20€ cadauna.
Tuttavia non ha saputo spiegarmi come mai la nostra bandiera fuori dal Municipio fosse esposta in posizione sbagliata, e come mai fosse stata sostituita nella posizione d’onore tra le Repubbliche Marinare da una bandiera che rappresenta poco più che un test chimico.

Durante un colloquio telefonico da me richiesto, il sindaco si è impegnato a provvedere per l’anno prossimo.
A quanto pare, sino ad allora, il comune di Celle Ligure resterà evidentemente un comune de-italianizzato.

Ho provveduto anche a segnalare l’anomalia su un blog locale (I Mugugni di Celle) il cui moderatore ha provveduto a censurare  il mio post con la documentazione fotografica (approvando invece tutte le segnalazioni di smarrimento sul territorio comunale di gatti, cani, telefoni e chiavi).
Ad un mio secondo post in cui relazionavo quanto emerso con il sindaco, qualcuno ha anche risposto chiedendo a quale bandiera mi riferissi …

Mi è dispiaciuto dover essere io a spiegare al sindaco quanto la nostra bandiera rappresenti rispetto a quella del MareBlu.

La nostra Bandiera è il simbolo che rappresenta la nostra Costituzione e tutti i diritti che i nostri nonni e bisnonni hanno conquistato per noi, pagandoli anche con la propria vita.
Purtroppo in troppi se la ricordano soltanto quando vince la nazionale di calcio, e persino le autorità e le Forze dell’Ordine di una municipalità sono disposte a sostituirla con un’insegna blu, che nel mondo rappresenta non noi, bensì poco più che un banale test chimico sulla qualità dell’acqua.
D’ora in poi i turisti che verranno in Italia non cercheranno più il ‘Made in Italy’, bensì il ‘Made in MareBlu’.

NOTA: ovviamente la documentazione fotografica e le email inviate al sindaco di Celle Ligure sono disponibili per qualsiasi verifica.

Cyber-ignoranza, Sensazionalismo e Caccia alle Streghe mercoledì 4 agosto 2021

Posted by andy in Information Security, Pubblica Amministrazione.
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È di questi giorni l’attacco ai sistemi informatici della Regione Lazio.

Al momento il sito della Regione Lazio è irraggiungibile, ed il sito del Garante è estremamente riservato sulle notizie.

Come sempre accade in queste situazioni, la stampa è prodiga di titoloni ed ipotesi spacciate per verità, basate su voci di corridoio, ipotesi, congetture.

La conseguenza immediata è che i lettori si scatenano a loro volta in thread di post e flames sulle responsabilità, su cosa doveva essere fatto e non è stato fatto, sull’incompetenza di questo o quell’operatore …

È bello vedere che finalmente l’Italia è attenta alla sicurezza delle informazioni, disponendo di circa 59 milioni di esperti, inclusi gli infanti.

L’attacco è andato a buon fine, ma senza il completamento delle indagini non ci è dato sapere (eccetto che ai pochi che stanno gestendo l’incidente) se sia stato dovuto ad inadeguatezza delle risorse poste a difesa dei sistemi o per superiorità di risorse messe in campo dal nemico.

Detto ciò, mi permetto di chiedere a tutti coloro che in questi giorni stanno facendo affermazioni sulle cause e sulle responsabilità se abbiano un antivirus sul proprio smartphone, se abbiano mai comunicato una propria password a qualcuno, se veramente non abbiano mai click’ato su un link di cui non erano assolutamente certi dell’affidabilità, se abbiano un backup dei propri dati in un proprio caveau diverso dal proprio PC o smartphone o cloud di turno, e così via …

Indipendentemente da quale sia stata la vulnerabilità sfruttata in questo incidente, è fondamentale rammentare a tutti che la più grave vulnerabilità e principale causa di incidenti informatici resta sempre l’essere umano.
Ed in Italia abbiamo più esseri umani che server …

Inviterei poi tutti coloro che sputano sentenze dal proprio pulpito (anche se socialmente virtuale) come si comportino sul proprio luogo di lavoro, con i computer ed i programmi della propria azienda o pubblica amministrazione …

Da  bravi italiani siamo sempre bravi a lamentarci  (… una palanca in meno, ma diritto di mugugno …) concentrandoci sugli effetti, e mai sulle cause.
Perché tutti coloro che si lamentano non iniziano per primi a gestire in sicurezza i propri dati e quelli dell’azienda o dell’amministrazione per cui lavorano, senza lamentarsi della seccatura della lunghezza della password che deve essere cambiata troppo spesso?

Perché queste persone non smettono di chat’are di lavoro attraverso canali non sicuri ed iniziano ad utilizzare programmi che cifrano realmente le comunicazioni, anche se non sono quelli di moda e che hanno l’icona più bella?
Perché queste persone non iniziano a leggersi le condizioni di servizio e le politiche per la privacy di ogni programma ed ogni sito che visitano?

Ah, già! Costa tempo e fatica …!

Peccato che dietro la nostra pigrizia individuale ci siano anche i dati degli abitanti della Regione Lazio, le buste paga dei colleghi, il fascicolo medico di qualcuno che l’anno prossimo pagherà un premio più alto sulla propria assicurazione sulla vita, senza capire perché …

Nota: ho già avuto modo di avere riscontri su queste mie considerazioni, ed ho rilevato che in molti cercano di correlare quanto ho scritto alle specificità dell’incidente della Regione Lazio, non ritenendolo pertinente nella ricerca delle responsabilità.

Approfitto quindi per chiarire subito che il tema del mio commento non è quello delle responsabilità del personale preposto a gestire la sicurezza.

Intendo invece evidenziare che in queste situazioni troppe persone si lanciano nella caccia al colpevole, molto spesso senza competenze specifiche, e certamente senza informazioni reali, oggettive, aggiornate e complete su ciò che è accaduto.

L’analisi dell’accaduto e le indagini sulle responsabilità sono operazioni estremamente complesse, che non richiedono minuti od ore, ed i cui risultati dipendono sia dalla comprensione di cosa è accaduto sia da dalle azioni messe o meno in campo, in relazione all’analisi dei rischi effettuata ed alle risorse che è stato possibile mettere a disposizione per gestirli.

No-Vax, No-Mask, No-* e la Cultura dell’Ignoranza giovedì 15 luglio 2021

Posted by andy in COVID-19, pensieri, Politica, tecnologia.
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Prima che sorgano fraintendimenti tra ciò che intendo significare e ciò che il lettore vorrà capire, è doverosa una precisazione.

Con ‘ignoranza’ (o ‘ignorante’ se mi riferisco ad una persona) non intendo offendere nessuno.

Utilizzo questo termine nella sua accezione più pura e non offensiva: il termine deve essere letto esattamente come ‘mancanza di conoscenza’ / ‘mancanza di informazione’.

Il fatto che una persona non sia informata su un argomento può dipendere da molte cause, esterne o interne.

Una persona può non avere cognizione di qualcosa in quanto non l’ha studiata, perché non ha sufficienti competenze per comprenderla, o semplicemente perché non gli è mai capitato di incontrare l’argomento per poterlo approfondire.

Esiste tuttavia un altro caso, e cioè quello in cui una persona sia venuta a conoscenza di un argomento, ma scientemente e deliberatamente si rifiuti di analizzarne il contenuto per verificarne le conclusioni, non accettandole per partito preso.

Veniamo ora al tema di questo post: con qualche breve esempio intendo dimostrare che la non accettazione di cose come i vaccini e l’utilizzo delle mascherine in periodo di pandemia derivano da una cultura di superficialità che abbiamo costruito negli ultimi decenni.

Il motivo? È semplice: una persona che prende per vere delle affermazioni senza verificarle è una persona che più facilmente voterà colui che diffonderà lo slogan migliore, avrà il poster più grande, o semplicemente prometterà cose che non potrà mantenere.

Una persona così è anche più facilmente condizionabile dal mercato, perché sarà più facile da convincere che è migliore il prodotto di un’azienda invece che di un’altra, anche se non è realmente il migliore.

La superficialità è energeticamente economica, perché consente di non spendere tempo e fatica a documentarsi, studiare e comprendere.

Per poterlo fare occorre naturalmente non accettare il metodo scientifico, che in sostanza è quello che fa delle ipotesi e descrive come riprodurne e verificarne gli effetti.

A meno di teorie migliori, quelle scientifiche non possono essere confutate mediante controesempi.

E vengo alla chiusa di questo mio post: a meno che i no-vax / no-mask / no-* vivano ancora nelle caverne, sono degli incoerenti, in quanto accettano ed utilizzano la scienza quando gli fa comodo, ma la confutano quando dimostra cose che non sono in linea con le idee che gli sono state propinate.

Sarei curioso di sapere quanti no-vax affidano quotidianamente la propria vita alla scienza, che è quella che ha portato alla realizzazione, per esempio, dell’ABS; ogni frenata in automobile è controllata da un chip, alimentato a corrente.

Chissà se i no-vax non mangiano gelati, e non utilizzano il frigorifero per conservare i cibi: eppure in Italia per avere temperature inferiori allo zero occorre portarsi in alta montagna … molto alta …

Oppure si accetta il secondo principio della termodinamica e le sue applicazioni.

Chissà quanti no-vax utilizzano il telefono cellulare per comunicare, nonostante il suo funzionamento si basi (anche) sulle leggi dell’elettromagnetismo: certo possono lamentarsi del ‘5G’, ma si lamentano se un messaggio o un’immagine non vengono trasferiti istantaneamente in qualunque luogo del globo terraqueo.

Chissà se i no-vax guardano la televisione (ancora elettromagnetismo), o prendono la nave o l’aereo per andare in vacanza (fluidodinamica), o utilizzano detersivi (chimica), o …

Chissà se hanno dei pannelli solari sul tetto, o delle lampadine a LED …

Chissà se i no-vax utilizzano il navigatore ed il GPS, che può funzionare soltanto padroneggiando la Teoria della Relatività …

Chissà se in casa hanno rubinetti con l’acqua corrente (li sfido a portare in casa propria tutta l’acqua che consumano ogni giorno senza padroneggiare elettrodinamica, fisica dei materiali, idraulica, etc.

Chissà come sarebbe la vita dei no-vax se non fossero stati vaccinati in gioventù contro Poliomielite, Epatite ed altre otto malattie potenzialmente fatali, …

E comunque i complottisti no-vax possono approfittare proprio del metodo scientifico per dimostrare le proprie teorie: è sufficiente prendere una fiala (scelta a caso) di vaccino, ed analizzarne il contenuto con gli strumenti più sofisticati.

Ma non lo faranno mai, perché se non dovessero trovare nulla, dovrebbero ammettere di avere torto e non avrebbero più scuse per non vaccinarsi (ovviamente a meno di patologie personali pregresse).

Ovviamente non è possibile che ognuno studi tutto lo scibile umano: laddove non è possibile verificare direttamente, ci si fida di un delegato (qualcuno che ha studiato la materia specifica): in realtà, il fidarci di qualcuno è una cosa che facciamo abitualmente, delegando un condomino in assemblea condominiale, o votando un politico alle elezioni …

Tasse e Servizi mercoledì 14 luglio 2021

Posted by andy in pensieri, vita quotidiana.
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In tanti anni posso contare sulle dita di una mano le persone che erano orgogliose di pagare le tasse per il proprio Stato.

Il mugugno sul pagamento delle tasse supera di gran lunga quelli per il fatto che non si trova più parcheggio e che non ci sono più le mezze stagioni … 🙂

Eppure tutte queste persone che si lamentano danno per scontato di avere l’elettricità (ed Internet) in casa, l’acqua corrente, le strade asfaltate, l’illuminazione stradale notturna, etc. etc. etc.

Nessuno si chiede come sarebbe la propria vita senza acqua corrente e senza fognature: eppure qualcuno paga per costruirle e mantenerle in buon funzionamento.

Nessuno si chiede quanto ci metterebbe ad andare al lavoro se le strade fossero sterrate e con le buche e se non vi fossero i semafori.

Nessuno si chiede come potrebbe far valere i propri diritti se non venisse pagato il personale delle forze dell’Ordine e della Magistratura.

Nessuno si chiede come potrebbe mangiare frutta non di stagione se non vi fosse qualcuno che paga per avere porti ed aeroporti.

In tanti si lamentano di chi non paga le tasse, ma poi non si fanno fare la fattura dall’idraulico, vanno a godersi la pensione in paesi a tassazione agevolata, prendono la residenza nella seconda casa, e votano che promette condoni edilizi e fiscali.

Le ragioni e le cause sono tante, ed un giorno o l’altro mi lancerò in una possibile analisi.

Certamente si percepisce il segno di una scuola che fa troppo nozionismo e non insegna a ragionare e di un paese troppo individualista per poter riconoscere ed apprezzare il valore del bene comune.

L’Anisotropia della Mente Umana martedì 13 luglio 2021

Posted by andy in pensieri, vita quotidiana.
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In natura è piuttosto raro riscontrare comportamenti che abbiano comportamenti differenti a seconda di come li si consideri.

La mente umana è quindi una peculiare eccezione a questa uniformità, manifestando un’anisotropia assolutamente degna di nota.

Vi sarà certamente capitato di osservare come molte persone siano in grado di aprire le porte, ma non di chiuderle, o di accendere le luci entrando in una stanza, ma non di spegnerle uscendo.

Per non parlare di rubinetti aperti ma non chiusi, di bottiglie per cui andiamo al supermercato ma che non siamo in grado poi di portare ad un bidone della spazzatura (per di più vuote, e quindi più leggere!).

Nel novero delle anomalie non può certo mancare il fatto che gli italiani si lamentano di chi non paga le tasse, ma poi si guardano bene dal farsi fare la fattura da idraulici, elettricisti e dentisti per risparmiare qualche Euro di IVA …

L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma la cosa più interessante su cui indagare è la causa che porta a siffatti comportamenti.

Certamente una delle cause è il (troppo?) benessere in cui viviamo: il consumismo ci ha portato a pensare che tante, troppe cose non costino nulla o costino così poco da non meritare la nostra attenzione ed il nostro tempo.

Un altro aspetto, tuttavia derivante direttamente dal consumismo, è che ci siamo convinti che il tempo sia ben speso soltanto se si spendono dei soldi, ed e per questo che ci si considera insoddisfatti se si lavora o se ci si gode qualche minuto di tranquillità, perché ci siamo costruiti dei miti in stile vacanza ad Honolulu.

E pertanto siamo disposti a pagare di più la bolletta della corrente e quella dell’acqua perché ci siamo convinti che anche quel breve istante che ci costerebbe chiudere un rubinetto o una porta sia tolto alla ‘felicita’ per cui ci stiamo alacremente affaticando.

Probabilmente riuscire ad apprezzare lo spegnimento di una luce e la chiusura di un rubinetto aiuterebbe a dare un po’ più di valore al proprio tempo ed alla propria vita (forse inquinando anche un po’ meno …!).

L’Italia: uno Stato di Apparenza … venerdì 4 giugno 2021

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Qualche giorno fa stavo parlando con degli amici che erano appena stati a teatro, dopo la chiusura per CoViD, e mi hanno raccontato che hanno dovuto compilare un modulo in cui hanno dovuto registrare le proprie generalità è il proprio numero di telefono.

Altrettanto è stato fatto in passato per accedere ai ristoranti e ad altri luoghi in cui erano prevedibili molti contatti e possibili contagi.

Alché ho posto un’innocentissima domanda: chi ha raccolto i moduli come faceva a sapere che il numero di telefono registrato (così come il numero del documento di identità) fossero validi?

Ovviamente non c’era modo di saperlo, perché non venivano controllati i documenti di identità e non veniva tentata una chiamata al cellulare indicato.

E questo a cosa ci porta? Al solito problema: gli italiani sono così stupidi da accettare di buttare un mare di tempo, denaro e risorse nella forma, invece che nella sostanza.

Qualche aquila ha previsto la norma per cui bisogna registrare i riferimenti dei visitatori, ma non l’obbligo di verificare che i dati siano attendibili.

Sarebbe bastato dal botteghino fare una chiamata al numero riportato sul modulo, per verificare se il cellulare indicato avesse squillato, ed analogamente, controllare il documento di identità per verificare che corrispondesse a quello riportato sul modulo.

Forse avrebbe richiesto un pochino più di tempo, ma in caso di contagio, sarebbe stato possibile risalire a tutti gli spettatori.

In questo modo invece si è sprecata carta e tempo per nulla, perché (come ho sentito più volte dire da molti) i dati riportati sui moduli non sono reali.

Internetcrazia mercoledì 29 luglio 2020

Posted by andy in Internet e società, Politica.
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Scrivo questo post sul mio blog invece che su Wikipedia, ove avrebbe avuto la giusta collocazione, sia come memoria storica, sia come anello di congiunzione nell’evoluzione tra la Seconda Repubblica e la nascita del Movimento 5 Stelle: Wikipedia ha infatti ritenuto questo contenuto non sufficientemente enciclopedico per essere eligibile per la pubblicazione.

Internetcrazia (IC) è stato un movimento politico fondato nel 2005 a Correggio (Reggio Emilia), e si pone come antesignano del Movimento 5 Stelle, nato soltanto a fine 2009.

Il partito è stato sciolto nel 2010, dopo la fondazione del Movimento 5 Stelle.

Il suo scopo era promuovere la democrazia diretta attraverso la E-democracy, sfruttando le potenzialità di Internet grazie alla sua capillarità, alla sua crescente diffusione ed alla mancanza di censura da parte della stampa.

Come riportava il sito: “Internetcrazia è il partito che usa internet come strumento con cui tutti possono prendere parte collegialmente alle decisioni!“.

Oggi ne rimane memoria soltanto negli archivi Internet.

Il partito si costituisce inizialmente come associazione a fini politici e senza scopo di lucro.

Storia

Origini

Il movimento (e poi partito) ha origine da cinque ragazzi che non si riconoscevano in altre formazioni politiche e nei meccanismi di rappresentanza esistenti.

Uno dei valori a cui i fondatori volevano ridare la dignità che gli era dovuta era la rappresentanza diretta del singolo nelle decisioni politiche dello Stato.

Fondazione

Il partito viene fondato nel 2005 da cinque giovani di Reggio Emilia: Paolo Trevisi, Stefano Bertolani, Andrea Menozzi, Fabio Parigi e Daniele Razzoli.

Valori fondanti

Internetcrazia fondava la propria mission su tre valori fondamentali:

  • riportare la democrazia al suo spirito originale;
  • promuovere e valorizzare la partecipazione di tutti attraverso Internet e le sue tecnologie, per favorire la democrazia diretta;
  • promuovere la discussione e la collaborazione costruttiva tra tutti, ripudiando ogni forma di aggressione nella comunicazione verso gli altri soggetti politici.

L’obiettivo era quindi quello di ripristinare una rappresentatività diretta del cittadino, eliminando la ‘delega in bianco’ al politico eletto senza vincolo di mandato.

Ulteriore aspetto rilevante era quello di consentire al popolo di intervenire rapidamente nell’esprimere la propria opinione su argomenti in cui altrimenti, per la lentezza della burocrazia del sistema elettorale, il governo normalmente prende decisioni che possono essere in contrasto con la volontà degli elettori.

Funzionamento di Internetcrazia

Sfruttando Internet come canale per rendere più facilmente accessibili i programmi politici e più partecipativo il voto, Internetcrazia ipotizzava un sistema innovativo per la selezione dei programmi e dei parlamentari da eleggere.

L’idea era quella di dividere il programma politico in sette aree tematiche:

  • Istruzione
  • Sviluppo tecnologico
  • Economia e finanza
  • Politiche sociali
  • Politica estera
  • Sanità
  • Sicurezza

L’idea era quindi quella di abbandonare l’idea di un Parlamento basato su partiti politici e di trasformarlo in un organismo suddiviso in aree di governo tecniche.

Pertanto i candidati per le elezioni non si proporranno più per un partito, ma per una specifica area.

Al momento del voto l’elettore avrebbe dovuto scegliere i propri sette rappresentanti, uno per settore. I cento più votati sarebbero andati alla camera (unica).

I più votati per ogni area sarebbero entrati nel governo ed il più votato tra tutti sarebbe diventato premier.

A differenza dal sistema attuale, le funzioni del Parlamento così ipotizzato sarebbero avrebbero dovuto elaborare politiche e proposte di legge dovendo sempre confrontarsi con il volere del popolo, espresso attraverso la piattaforma di voto.

Adesione al partito

Inizialmente per diventare ‘Internetcratici’ era sufficiente registrarsi sul sito creando un proprio account.

In una fase successiva si è passati al tesseramento.

Ideologia

Internetcrazia non si fondava su ideologie di alcun tipo: si concentrava invece sui meccanismi utili a ridare valore alla democrazia diretta, sfruttando Internet come canale che doveva offrire a tutti la parità di diritto di accedere all’informazione ed alla propria rappresentatività politica, favorendone la partecipazione.

Meccanismi di rappresentanza

Internetcrazia non era per l’abolizione dei meccanismi di rappresentanza: si proponeva invece di ridurre i livelli di stratificazione delle deleghe assegnate mediante il voto (amministrativo o politico).

La gerarchia della rappresentanza era pertanto ridotta a tre soli livelli:

  • elettori (tutti i cittadini maggiorenni);
  • delegati (cittadini che raccolgono deleghe di voto da altri cittadini);
  • parlamentari (cittadini delegati a rappresentare ufficialmente nelle sedi di potere il popolo internetcratico).

Simboli

Logo di Internetcrazia

Il simbolo del partito era una mano stilizzata con l’indice puntato, a simboleggiare il cursore del mouse quando posizionato su un collegamento ipertestuale puntato sopra ad una figura stilizzata di uomo.

I due elementi erano inscritti all’interno di una circonferenza, all’esterno della quale era riportato il nome del partito.

Il colore sociale prescelto era l’arancione.

La piattaforma http://www.internetcrazia.com

Il sito ufficiale del partito era www.internetcrazia.com, oggi disponibile soltanto negli archivi di Internet.

Il sito era basato sul CMS Joomla!, ed oltre a contenere tutte le informazioni relative al partito, era anche il portale di discussione ufficiale.

Finanziamento / Merchandising

Temendo potenziali derive e degenerazioni derivanti dal finanziamento del partito, Internetcrazia affidava la raccolta delle risorse necessarie a contributi volontari, al tesseramento e a proventi derivanti da eventi, pubblicazioni ed altre iniziative.

Oltre a queste entrate erano anche contemplati contributi pubblici e non, e rendite derivanti dal proprio capitale.

Internetcrazia non voleva avere un merchandising ufficiale, per prevenire qualsiasi inquinamento derivante dalla circolazione di denaro, o comunque potesse sollevare qualsiasi sospetto sugli scopi del partito o nella sua gestione.

Il partito aveva quindi predisposto il materiale grafico e le istruzioni utili per autoprodurre o far produrre volantini, magliette, o qualunque altro oggetto utile alla promozione dell’immagine del partito.

Riferimenti:

Il Piano Pandemia Nazionale: praticamente inutile mercoledì 15 luglio 2020

Posted by andy in Miglioramento, Politica, qualità.
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Del senno di poi son pieni i fossi, suolsi dire …

Tuttavia non siamo ancora nella fase del ‘poi’, ma sulla gestione della pandemia da Covid-19 qualche considerazione e qualche somma la possiamo già tirare.

Mi concentro sul piano di gestione della pandemia predisposto dallo Stato, ed in parte anche su quello della Regione Lombardia (2009/2010?).

Innanzitutto una considerazione: tutti i piani pandemia che ho reperito (sia nazionali che della Regione Lombardia), nelle loro varie edizioni, non riportano da nessuna parte alcune informazioni chiave, come l’ente emittente e la data di pubblicazione.

Il Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale almeno riporta in copertina il logo del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (ccm).

Ciò significa che nessuno è in grado di sapere se il documento che si trova a consultare in condizioni di emergenza sia quello aggiornato. Torneremo sulle implicazioni di questo aspetto più avanti.

Un altro aspetto critico di tutti i piani di gestione della pandemia che ho reperito è che sono stati emessi dal Ministero della Salute, o organismi omologhi a livello regionale, e che l’intera trattazione verte esclusivamente sugli aspetti medici della pandemia.

Tra i principali argomenti non trattati vi è quello relativo alla protezione e continuità operativa delle infrastrutture critiche identificate dallo Stato.

Il Governo si è trovato sostanzialmente a scoprire, a pandemia già conclamata, l’acqua calda, ovverosia che in caso di lock down la gente deve comunque mangiare, che deve essere garantita la continuità nella fornitura di acqua ed energia elettrica, nonché la distribuzione dei combustibili, oltre a molte altre cose.

Ciò implica che anche a fronte di una grave penuria di personale, dovuto a motivi sanitari o a quarantena, devono essere garantiti i trasporti, la rete di distribuzione dei generi di prima necessità, e la manutenzione ed il pronto intervento per mantenere in efficienza la rete elettrica, idrica, e così via.

I trasporti servono naturalmente a consegnare medicine e materiali per gli ospedali, nonché ai malati presso i propri domicili.

In caso di pandemia deve essere garantito anche il funzionamento della Giustizia, delle Forze dell’Ordine, delle carceri, per non parlare della centrale acquisti dello Stato e della rete di approvvigionamenti.

Già a fine 2010 la Regione Lombardia, a quei tempi governata da Roberto Formigoni, identificava la necessità di approvvigionarsi e di dotare il personale medico di mascherine ed altri presídi necessari per proteggere il personale medico e sanitario, ed il piano pandemico era disponibile già dal 2018.

Sempre in tale documento la Regione si era resa conto che i piani ASL e delle strutture sanitarie non erano aggiornati, a volte non presenti, e comunque poco operativi ai fini della gestione di un’emergenza.

In pratica abbiamo gestito la prevenzione di una pandemia con il tipico approccio italiano: paghiamo qualcuno perché produca tanta carta (tanto chi la va a leggere?) …

Un aspetto chiave della continuità operativa è quello di provare qualsiasi piano si progetti, per vedere se funziona (come per le esercitazioni antincendio, che qui in Italia facciamo alla stessa stregua del piano pandemia: … ah, c’è la prova di evacuazione? Bene, così andiamo a farci un caffè invece che lavorare …

Come per un piano di evacuazione ben collaudato può significare la differenza tra la vita e la morte delle persone, altrettanto vale per un piano pandemia.

Ad esempio, questo piano non è mai stato provato in uno scenario in cui venissero saturati tutti i posti di terapia intensiva.

Nessuno si è neppure posto il problema degli approvvigionamenti, e le tristi notizie su affidamenti diretti di milioni di Euro a faccendieri riportano alla mente che abbiamo tolto risorse a chi ne ha veramente necessità per sopravvivere.

E a proposito di scenari di valutazione, nei piani è previsto di dare la priorità nella vaccinazione ai medici ed al personale sanitario … tuttavia nessuno si è posto il problema che il vaccino potrebbe non esistere (come in questo caso, dove sarà disponibile probabilmente dopo un anno dall’inizio della pandemia). Un piccolo dettaglio, insomma …

Chiunque abbia avuto a che fare con una certificazione ISO9001 sa che non l’avrebbe mai passata producendo documenti senza ente emittente, data e validità.

Chiunque abbia avuto l’esigenza di garantire il funzionamento della propria attività sa che avrebbe dovuto chiudere senza alternative per gli approvvigionamenti e senza trovare un modo alternativo per far lavorare comunque il proprio personale.

Quanto sono costati i nostri piani pandemia ai contribuenti? Sicuramente tanto, anche soltanto tenendo conto dello stipendio delle persone coinvolte e della quantità di giornate che ci hanno dedicato (a livello governativo, regionale, ASL, ospedaliero, e così via …); se poi sono stati commissionati all’esterno, occorre anche aggiungere il ‘giusto margine’ dovuto a qualsiasi azienda commerciale (che ha come fine ultimo quello del lucro).

Ora naturalmente ci si muove in emergenza, come è normale in Italia, regalando soldi a pioggia, invece che investendoli dove serve di più (e i furbi e la malavita organizzata ringraziano).

Il piano nazionale, per come è scritto, è poi di scarsa utilità: è più un trattato sulle epidemie ed un riepilogo delle direttive dell’OMS; le parti più importanti sono sintetizzate in pochi elenchi di voci, che delegano (non è chiaro a chi) la predisposizione di piani specifici e programmi di formazione (evidentemente mai realizzati, visti i risultati).

Interessante il punto 7.7, ove è previsto di ‘Monitorare l’efficacia e l’efficienza delle misure intraprese’, per non parlare della ‘Standardizzazione delle procedure di rilevamento’, che come è noto a chi vedeva alla televisione alle 18 le conferenze stampa della Protezione Civile fornivano numeri meno attendibili delle estrazioni del Lotto.

Nonostante fosse prevista una campagna di informazione della popolazione, si è visto qualcosa soltanto sulle reti private, e per il resto si è fatto soltanto terrorismo.

Naturalmente è facile criticare (siamo in Italia, no?), ma guardando l’accaduto è anche possibile guardare avanti, chiedendosi cosa sarebbe opportuno fare per gestire meglio una situazione simile se dovesse ripresentarsi (e si ripresenterà di sicuro).

Mille cose avrebbero potuto essere fatte o fatte meglio, ma probabilmente poche di esse avrebbero potuto, con poco, fare moltissimo (ipotizzo che anche in questo caso valga il Principio di Pareto).

  • Una buona campagna di informazione (tipo Pubblicità Progresso) di tipo costruttivo e non per fare terrorismo, per spiegare cosa sia realmente il Covid-19, e soprattutto quali siano le buone pratiche da adottare e mantenere nel tempo, sino alla completa immunità della popolazione;
  • Acquisti: per le forniture di emergenza la centrale acquisti dello Stato dovrebbe avere una lista di fornitori certificati, ed accordi formalizzati per garantire tempi e quantità minime per forniture in situazioni di emergenza;
  • Evitare di fare helicopter money, con bonus per ogni cosa (incluso il bonus vacanze, che tanta credibilità ha fatto perdere all’Italia), e finanziando invece a fondo perduto ogni intervento finalizzato a mantenere la produzione garantendo la sicurezza dei lavoratori.
  • ovviamente le situazioni di rischio avrebbero comunque essere inibite, come assembramenti, eventi sportivi, concerti, discoteche, etc.
  • sul problema generato nelle residenze per anziani, forse sarebbe stato sufficiente che la politica avesse consultato ed ascoltato qualche persona competente: nessuna persona di buon senso, avendo degli anziani in casa, si sarebbe reso disponibile ad ospitare persone infette in casa propria; utilizzare caserme dismesse ed ospedali militari ormai deserti sarebbe costato poco ed avrebbe prevenuto un disastro.

In questo modo si sarebbe ridotto il rischio di contagio, favorito il mantenimento e la ripresa della produzione, ed i soldi a fondo perduto sarebbero tornati nelle casse dello Stato sotto forma di IVA, imposte, accise sui carburanti, etc.